Il regolamento Dublino III del 2013 attribuisce “una responsabilità sproporzionata su una minoranza di Stati membri, soprattutto nei periodi di grande afflusso di migranti”. Lo attesta una risoluzione del Parlamento europeo (approvata con 448 voti favorevoli, 98 contrari e 149 astensioni): l’attuale legislazione, in sostanza, non garantirebbe “un’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri né un rapido accesso alle procedure di asilo”. Per questa ragione, gli eurodeputati chiedono “l’introduzione di un meccanismo di solidarietà per garantire la continuità del diritto fondamentale di asilo nell’Unione e la ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri”. “L’inadeguata applicazione della gerarchia dei criteri – aggiunge una nota dell’Eurocamera –, in particolare l’uso eccessivo del criterio del Paese di primo ingresso, e l’inefficace attuazione dei trasferimenti, hanno aumentato la pressione su alcuni Stati”, ovvero Grecia, Italia, Malta, Cipro e Spagna. I deputati “deplorano che il Consiglio, contrariamente al Parlamento, non abbia preso posizione sulla proposta di riforma del regolamento di Dublino del 2016”, bloccando così il processo e lasciando che l’Unione disponesse dello “stesso insieme di norme che si sono dimostrate inefficaci nella gestione di un numero elevato di arrivi”. I deputati chiedono maggiori risorse e capacità per gli Stati membri in prima linea, finché il sistema di Dublino non sarà riformato.
Il Parlamento, riunito questa settimana in plenaria, ha adottato, con 512 voto favorevoli, 134 contrari e 49 astensioni, una seconda risoluzione sull’attuazione dell’attuale direttiva sui rimpatri. I deputati sottolineano che “una politica di rimpatrio efficace è uno degli elementi fondamentali di una politica dell’Ue in materia di asilo e di migrazione ben funzionante” e che dal 2015 il numero di decisioni di rimpatrio eseguite è in diminuzione, non necessariamente a causa della diminuzione degli ingressi irregolari. Tuttavia, “l’efficacia della politica Ue di rimpatrio non dovrebbe essere misurata solo in termini di tassi di rimpatrio, ma anche in base alla sostenibilità degli stessi e all’attuazione delle garanzie dei diritti fondamentali, al rispetto delle garanzie procedurali e all’efficacia dei rimpatri volontari”.