Il Messale è “uno scrigno che custodisce il patrimonio della Chiesa orante e al tempo stesso l’arricchisce di generazione in generazione, perché la lode non taccia mai e il rendimento di grazie risuoni nel cuore di ogni uomo”. Lo sostiene p. Massimo Marelli, professore di liturgia alla Pontificia Facoltà Teologica di Cagliari, commentando nel quaderno 4.092 de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato e anticipato al Sir, la terza edizione italiana del Messale Romano. Approvato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 16 luglio 2019 dopo un lungo lavoro di traduzione e di revisione durato 18 anni, il “nuovo” Messale Romano è entrato in uso nelle parrocchie dalla prima domenica di Avvento. “Si è scelto generalmente di non intervenire sulle risposte del popolo che già sono entrate in una certa familiarità, e per lo stesso motivo di non modificare le orazioni delle principali solennità, i cui testi ormai appartengono alla tradizione affettiva dell’assemblea celebrante”. In altre parti si è operata, invece, “una manifesta discontinuità con la precedente edizione”, spiega il gesuita presentando e analizzando le diverse variazioni, e riservando solo un breve commento a quella più nota e commentata del “Padre nostro”.
Nell’offrire alcune valutazioni di ordine teologico pastorale. p. Marelli afferma che la nuova edizione italiana del Messale Romano può essere un’opportunità per rievangelizzare e aiutare l’assemblea celebrante “ad attingere a quella sorgente di vita e di luce che è la liturgia in ordine al cammino di fede di una comunità”. “Non è il libro esclusivo del sacerdote, ma appartiene alla Chiesa orante, ossia alla comunità” e deve diventare “strumento di preghiera e di contemplazione”. E’ insomma “uno strumento insostituibile di formazione spirituale e di pedagogia pastorale”.