“Come credenti siamo tenuti a registrare non solo ciò che questa calamità sanitaria ci toglie ma anche a chiederci quello che ci insegna. Dobbiamo anzitutto riconoscere che tale evento, a dimensioni planetarie, è stato una grave “umiliazione”, per una mentalità che si riteneva autosufficiente e ormai padrona esclusiva del proprio destino”. È l’invito alla riflessione che l’arcivescovo metropolita di L’Aquila, card. Giuseppe Petrocchi, lancia alla comunità ecclesiale e civile per questo Natale. Il porporato parla di “notte culturale” della nostra società, “resa ancora più oscura dalla pandemia da Coronavirus”. Ma “anche in queste tenebre, spirituali e relazionali, deve accendersi la luce del Signore-che-viene!”. “Siamo tutti piombati nella nebbia di una globale precarietà – afferma il card. Petrocchi -. Bisogna imparare a trarre da questa tragica ‘umiliazione’ una grande umiltà: individuale e collettiva”. Un passaggio “non automatico”: “occorre che entri in campo la conversione, cioè la revisione dei modi di pensare e di agire contaminati dall’orgoglio, per sostituirli con stili allineati sulla volontà di Dio. Senza la conversione l’umiliazione non diventa umiltà, ma si trasforma in rabbia, che genera ostilità e comportamenti aggressivi, oppure si tramuta in pessimismo disfattista e perdente”. Dall’arcivescovo di L’Aquila giunge la proposta di “invocare l’Avvento della Parola nella nostra storia, per avere una lettura sapienziale degli eventi e vedere le strade da percorrere. La risposta sta nel “fare la verità nella carità”. Un “metodo evangelico” che “funziona sempre, anche nelle situazioni peggiori. Non si risorge dalle macerie della propria esistenza se non si accetta, serenamente, che da soli non andiamo lontano e restiamo intrappolati nelle nostre debolezze”. Davanti alla paura “di soccombere di fronte al negativo”, la medicina è Gesù, “Egli è già ‘dentro’ le nostre difficoltà, perché le ha assunte su di sé facendosi uno di noi. Sta a noi riconoscerlo”.
Per il card. Petrocchi “oggi, più che mai siamo chiamati, con la grazia del Natale, a costruire una società a misura d’uomo: più capace di tessere relazioni autentiche e maturanti. Occorre maturare un “umanesimo integrale”, aperto alla Trascendenza, e capace di promuovere il bene autentico, a livello generale e individuale. Il passo decisivo è puntare sul Vangelo”. “Vorrei che il Natale di quest’anno – è l’auspicio dell’arcivescovo – lo vivessimo spalancando le porte del cuore a quanti abbiamo finora rifiutato o lasciato ai margini” senza cadere nella “sindrome degli abitanti di Betlemme”, caratterizzata dalla “inospitalità interiore che determina l’egoismo della ‘porta chiusa’, una malattia spirituale che colpisce sovente le ‘brave persone’, talmente piene di ragioni apparentemente convincenti per dichiararsi indisponibili, da non accorgersi che l’unica ‘ragione buona’ da adottare è quella di ‘fare sempre posto’ a Gesù, comunque e in chiunque Egli si presenti”. In chiusura di messaggio il cardinale invia il suo augurio e preghiera alle “persone colpite dal contagio e le loro famiglie, in particolare alle vittime dell’epidemia e i loro cari. Una vicinanza speciale – afferma il porporato – voglio assicurarla a tutti coloro che vedono compromesso il loro lavoro e quanti faticano a vivere per ristrettezze di ogni tipo. Esprimo la mia commossa riconoscenza a quanti si prodigano, a vario titolo, per fronteggiare l’emergenza Covid-19, testimoniando generosità e abnegazione, spesso in grado eroico”.