“A nove mesi dall’inizio della pandemia, tra i provvedimenti emanati per contenere i contagi non c’è ancora traccia di disposizioni per la tutela della salute espressamente rivolte alle persone senza fissa dimora, a coloro che vivono nei centri di accoglienza e agli operatori che vi lavorano”. Lo dichiara Intersos, intervenuta fin dall’inizio dell’emergenza a Roma, dove i suoi team mobili da marzo a oggi hanno condotto circa 1.600 visite mediche e sessioni informative sul Covid-19 davanti alle stazioni e negli edifici occupati. Assistiti a domicilio 150 persone vulnerabili in isolamento e inseriti in percorsi di diagnosi e cura più di 250 persone con barriere di accesso alle cure. “Questo approccio ha consentito di sperimentare pratiche alternative al ‘lockdown totale’ (impossibile per chi vive in strada) e può essere letto come una esperienza pilota di assistenza territoriale integrata (pubblico-privato sociale), transculturale (interessando sia popolazione italiana che straniera in condizione di marginalità), multidisciplinare e basata sul coinvolgimento delle comunità”.
Il modello di Intersos ha permesso di diagnosticare e curare persone altrimenti escluse, per vari motivi, dalla sorveglianza sanitaria e di portare avanti con successo una gestione domiciliare dei casi meno gravi, evitando il ricorso improprio e il conseguente sovraffollamento dei pronto soccorso. Il lavoro portato avanti da Intersos in questi mesi è “una dimostrazione concreta degli effetti positivi che potrebbe produrre una riorganizzazione del sistema di assistenza territoriale volta a implementare la sorveglianza e la gestione domiciliare dei casi meno gravi”.