“È molto improbabile che i minori al di sotto dei sedici anni, che soffrono di disforia di genere, siano in grado di acconsentire con maturità a cure che portino al cambiamento del loro genere sessuale”. Con queste parole i giudici dell’Alta corte britannica hanno dato ragione a Keira Bell, un’informatica di ventitré anni che, sette anni fa, ha compiuto un percorso per il cambiamento di sesso, presso la clinica “Tavistock” di Londra. Una decisione giunta in seguito alla richiesta della stessa Keira Bell che, essendosi pentita del percorso effettuato, è ricorsa al tribunale per denunciare che, a suo avviso, la struttura sanitaria non aveva garantito al meglio tutto ciò che concerne aiutare la persona a risolvere un problema o a prendere una decisione in un arco di tempo breve e delimitato, al fine di rendere possibili scelte e cambiamenti in situazioni percepite come difficili dalla persona stessa. “Quel desiderio di essere uomo era parte della mia ricerca adolescenziale di identità”, aveva detto la giovane che ha subito una mastectomia dopo aver preso bloccanti ormonali. Viene fermato così, almeno per il momento, l’aumento esponenziale delle “transizioni di genere” molto frequenti nel Regno Unito negli ultimi anni, di cui la “Tavistock”, clinica da tempo al centro polemiche, è stata protagonista.
Il numero di bambini e ragazzi che hanno effettuato processi di cambiamento di sesso, infatti, è cresciuto dai 678 di cinque anni fa, ai 2.590 dello scorso anno. I più giovani avevano meno di dieci anni. Da sottolineare la parte della sentenza nella quale i giudici spiegano che “la somministrazione dei bloccanti della pubertà e quella degli ormoni cross sex sono solo due stadi di un unico percorso che, una volta avviato, diventa quasi sempre irreversibile”. Gli avvocati della “Tavistock” avevano, invece, sostenuto che tale processo si articola e viaggia su due fasi diverse e separate tra di loro.