“Oggi ci è tolto un pezzo del nostro cuore, perché don Corso ha avuto un posto nel cuore di tutti noi: nel cuore dei figli e dei preti dell’Opera e in quello di ogni fiorentino, oso dire prima di tutti nel cuore del vescovo, la cui missione, per don Corso – come mi scrisse dedicandomi il libro che ha raccolto le sue memorie –, era ‘segno della paternità di Dio’; così gli aveva insegnato don Facibeni”. Lo ha affermato oggi il card. Giuseppe Betori celebrando nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze le esequie di mons. Corso Guicciardini (nella foto), dell’Opera Madonnina del Grappa. “Non nascondo che oggi faccio fatica a essere fedele alle norme liturgiche, che prescrivono che l’omelia nelle esequie debba illustrare il mistero della morte e della risurrezione nella fede della Chiesa e non parlare del defunto, riservando questo alla memoria che se ne può fare al termine della Celebrazione eucaristica, durante il rito dell’ultima raccomandazione e del commiato. Rispetteremo queste norme e più tardi illumineremo la figura di don Corso con le parole di chi lo ha conosciuto da vicino. Mi atterrò quindi a quanto dispone la Chiesa e cercherò di farmi guidare nella riflessione dalle letture della parola di Dio che sono state proclamate, anche se mi permetterete di proiettarne il messaggio sulla testimonianza che ci ha lasciato don Corso”.
“Nella morte – ha detto Betori – scopriamo la centralità della fede e come essa, in quanto prospettiva con cui guardare alla vita, contemplandola con gli occhi stessi di Dio, sia in grado di dare una forma nuova all’esistenza. È quanto don Corso ha sperimentato e mostrato a noi. Nella vocazione da lui accolta come ciò che poteva dare pienezza alla sua esistenza – una vocazione maturata sotto la guida spirituale di don Raffaele Bensi, illuminata dal colloquio decisivo con Giorgio La Pira, concretizzata nell’incontro con don Giulio Facibeni e i ragazzi dell’Opera –, don Corso diresse la sua vita verso un esito che gli ha chiesto di rileggere le proprie radici di nobiltà come un’esigenza a dare un volto alto alla vita, in cui imitare sempre più Gesù. Perché questo è la fede: un’esperienza di Cristo capace di dare forma nuova, nobile, intensa, piena alla vita”. E al termine dell’omelia: “Te lo ripeto anche oggi, caro don Corso. Continueremo a volerti molto bene, non come espressione di un sentimento, ma come impegno a convertire i nostri cuori, così da saper raccogliere e continuare a far vivere qualcosa dell’eredità di fede e carità che ci lasci”.