Occorre chiedersi se “le modifiche normative proposte – e in particolare l’enfatizzazione dell’intervento penale rispetto a condotte già penalmente sanzionate – risultino ragionevoli rispetto all’obiettivo, o finiscano per produrre, invece, effetti problematici in merito alla certezza del diritto e all’esigenza di non incrinare il principio cardine per qualsiasi ordinamento democratico-liberale costituito, ai sensi dell’art. 21 della Costituzione, dalla libera espressione di opinioni su qualsiasi tema”. Lo dice in un’intervista al Sir Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma, commentando il testo unificato delle proposte di legge di contrasto alla discriminazione e alla violenza per motivi legati a sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità, approvato ieri alla Camera.
“Nel nostro stesso ordinamento penale – precisa il giurista – sono già previste sanzioni applicabili sia per atti di violenza, sia per altri tipi di offesa perpetrati nei confronti di chiunque”. Per Gambino, inoltre, “le norme proposte soffrono di uno strutturale difetto di determinatezza, in contrasto col principio costituzionale di legalità. Un delitto consistente nella commissione di generici ‘atti di discriminazione’, oppure nell’istigazione a commetterli, comporta il rischio dell’apertura di processi penali, in base alla mera espressione di punti di vista – sul piano etico, filosofico, pedagogico, psicologico, religioso, ecc. – circa il modo di vivere l’affettività e la sessualità. La loro sussistenza viene rimessa a una discrezionalità giudiziaria della quale non è possibile prevedere a priori, per ciascun singolo caso, i criteri di utilizzo”.