“Questa esperienza ha fatto emergere in maniera chiarissima la dimensione del mondo dei curanti; è emersa in maniera evidente e a tutta la popolazione la fatica di tutti gli operatori sanitari, la grande generosità con cui si sono messi a disposizione dell’emergenza, la passione e l’abnegazione con cui si sono presi cura dei malati sopportando anche pesanti carichi di stress rischiando il burn-out di fronte alla sofferenza degli altri”. Lo ha detto don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale sociale della Cei, al convegno annuale sulla salute mentale, quest’anno online. Questo impegno prosegue e la pastorale della salute vuole consegnare al riguardo due verbi: abitare e testimoniare. “La pastorale della salute abita i mondi della sofferenza per accompagnare i sofferenti anche dal punto di vista spirituale, e testimonia il Vangelo della misericordia che porta speranza e consolazione aprendo all’infinito, alla domanda di Dio. Destinatari dell’azione pastorale sono malati e curanti; per questo vogliamo rafforzare ulteriormente la nostra vicinanza abitando e testimoniando”. “Abbiamo raccolto un grido di aiuto da parte dei curanti che hanno chiesto dignità, sia dal punto professionale sia personale, e risorse sufficienti per il bene e la salute di tutti” per respingere quella cultura dello scarto “che sembra riemergere laddove si debbano prendere decisioni su chi valga la pena curare e chi no”, ha proseguito il sacerdote. Di qui la conclusione: “Siamo nelle strutture testimoniando il Vangelo di prossimità; sul modello del buon samaritano vogliamo essere accanto ai malati e ai sofferenti e chiediamo di restarci anche laddove ci sono difficoltà, con tutte le misure di sicurezza che la situazione richiede”.