“Questa pandemia ci sta facendo riscoprire affratellati, ma non – come dovrebbe essere -, in quanto figli del medesimo Padre celeste, ma perché tutti accomunati da una fragilità estrema: il rischio di contagio. L’ennesimo avviso che bisogna portarsi oltre il momento contingente, purché si resti insieme, cioè sentendosi sorelle e fratelli?”. Lo ha scritto mons. Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra e arcivescovo di Catanzaro-Squillace nella lettera pastorale “Nella stessa barca… Chiesa, vescovi, preti e fedeli: insieme nella recrudescenza della pandemia globale”. “Come la peste e le guerre, anche la pandemia da Covid-19 non guarda in faccia nessuno, né segue i tempi dei calcoli algoritmici: improvvisamente, infatti, s’impenna, particolarmente in alcune zone, ad alto rischio, come la nostra”, ha detto il presule rivolgendosi ai sacerdoti calabresi. “Ora il male colpisce chi non se lo aspettava ed aggredisce sia produttivi che improduttivi, generando una ben più pericolosa pandemia sociale – evidenzia mons. Bertolone -. Assistiamo al riemergere di odi e di egoismi, vediamo crescere i timori per il lavoro e quindi per il futuro dei singoli e delle famiglie. Come gli apostoli sul lago nel mezzo della tempesta, siamo davvero tutti nella stessa barca del timore e del tremore”. In questo, però, l’invito dell’arcivescovo è ad “andare comunque oltre”, perché “il cristianesimo è, tra l’altro, la religione della speranza. Una speranza situata, incarnata, poggiata sulla roccia di Cristo e della sua resurrezione: quindi invincibile. Dio non è morto, Christus vivit”. Riflettendo sulla prossimità all’altro, mons. Bertolone suggerisce “a preti e ministri ordinati” un “esame di coscienza quotidiano sul proprio grado di presenza o inaccessibilità: oggi sono stato funzionario o mediatore del Salvatore? Ho soprattutto custodito e salvaguardato me stesso, ho cercato soprattutto me stesso, la mia incolumità, la mia comodità, il mio ordine, oppure ho lasciato che la giornata andasse principalmente al servizio degli altri?”. Infatti, “come i medici e gli infermieri, in prima linea a combattere il coronavirus e che si ammalano e muoiono a causa della loro professione e missione”, il servizio sacerdotale e ministeriale “esige che sia posto al primo posto non il timore del contagio, ma il servizio agli ammalati, ai poveri, agli ultimi e agli scartati”.