Nella tiepida sera di quel 23 novembre, nella città di Avellino, “si sgretolarono le case e le antiche chiese erose dal tempo, custodi della memoria, dell’Eucarestia nei tabernacoli, di preghiere, oggetti votivi, doni di emigranti lontani, tesori di ricordi, di fede radicata nel cuore della nostra gente. Quel boato sordo, seminando morte, si amplificò a dismisura con l’oscurità e i cupi silenzi. Il timpano della cattedrale si frantumò, frenato nella sua corsa dal cancello che racchiudeva il sagrato e lo scalone settecentesco, tra la piazza e il seminario di cui si è persa ogni memoria. Anche nella Chiesa di Ariano e Lacedonia ci furono dei crolli”. Lo ricorda oggi il vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia, mons. Sergio Melillo, che allora viveva ad Avellino. “Si sgretolava un ‘piccolo mondo antico’, si intravedevano segni e ferite di un futuro incerto”, sottolinea il presule, che aggiunge: “Quella sera, nel percorrere le strade della città di Avellino mi pareva di attraversare uno scenario da film neorealistico, un tragico chiaro scuro di stupore e di paura. In piazza Libertà – nei pressi dell’episcopio – incontrai il vescovo, mons. Pasquale Venezia. L’indomani lo rividi, avvolto in un mantello e infreddolito, su un autobus, unico riparo in quella oscura notte, mentre ascoltava e confortava. Percepii tra la gente un clima di inaspettata fraternità. Dio non ci aveva abbandonati!”.
Mons. Melillo avverte: “La ricostruzione, con le sue difficoltà e le sue ombre, stava generando un cambiamento epocale. Nel mentre si ricostruivano nuovi sky-line ai paesi, si passò dalle tende alle ‘roulotte’, ai ‘prefabbricati’. Si insediarono industrie mai veramente decollate, strutture progettate in ‘laboratori disincarnati’. Nacquero luoghi senza memoria. Molto è stato fatto per risollevare questi territori ma, di fatto, si è prodotto uno sgretolamento di rapporti tra i luoghi e la vita. La globalizzazione omologante ha come cancellato il senso delle appartenenze, la conoscenza dimorante, non quella puramente folclorica dei nostri paesi”.
Il vescovo rammenta anche la visita di san Giovanni Paolo II, il 25 novembre, alle zone terremotate e le iniziative messe in campo dalla Caritas, che “soccorse le stremate popolazioni, i parroci e le comunità provate da lutti e rovine”, con “gemellaggi tra diocesi e parrocchie di tutta Italia: un laboratorio sociale e pastorale, un’esperienza storica di presenza e di scambio mai verificatasi fra il Nord ed il Sud”. E “fu fatto molto!”.
Ricordando l’invito di Papa Francesco a “non lasciarci rubare la speranza”, mons. Melillo conclude: “Restituiamo entusiasmo alle aree interne e alle nuove generazioni, ricostruiamo la socialità, la comunità e le relazioni”.