“Nel quarantennale del sisma del 23 novembre 1980, si accende in modo particolare la memoria collettiva, che è, in questo caso, più del solito, la memoria del popolo che ha continuato ad abitare con coraggio questi territori. La Chiesa è il popolo di Dio, per cui fa memoria con la sua gente, sicura che questa memoria è abitata dal Signore risorto. Il ricordo innanzitutto riaccende i sentimenti, mai spenti sotto la brace della storia che continua; si rivive il dolore per quanti persero la vita in quel tragico evento, si associa la paura alle paure, susseguenti negli anni, fino a quella che stiamo vivendo in questa emergenza del Covid-19”. Sono parole di mons. Pasquale Cascio, arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, che oggi insiste su uno dei territori più martoriati dal terremoto del 23 novembre 1980.
Per il presule, “la memoria del sisma è ormai storia, non si può affrontare con la polemica della cronaca, bisogna mettersi alla scuola della storia, magistra vitae”, che innanzitutto “ci insegna l’imprevedibilità delle forze della natura e delle malattie, noi possiamo affrontare, controllare, risolvere ma non prevedere in maniera certa il come, il quando, il dove”. Perciò “la società civile e la comunità ecclesiale devono essere pronte con energie, progetti e fondi economici di riserva: il 23 novembre segnò la nascita della Protezione Civile e riconfigurò la stessa struttura di Caritas italiana”. Poi “insegna la solidarietà nel momento della prova e nei tentativi di rinascita: questo è stato sperimentato a tutti i livelli e in tutte le direzioni durante il sisma e negli anni seguenti”. Infine, “è necessario un coordinamento tra lo Stato centrale e i territori: lo Stato ci ha aiutato tanto, ma ognuno ha preso senza confrontarsi e senza progettare insieme una società in continuità con la sua storia, che non fosse abbagliata dalla profusione di denaro e di fondi pubblici”.