“I quarant’anni ci allontanano dall’evento e tante scelte ecclesiali, civili e politiche sono state fatte in questi anni; ci sentivamo minacciati dalla desertificazione, ora nell’isolamento forzato immaginiamo come progettare questi luoghi in oasi abitative, accoglienti per chi è già residente e desiderabili da chi vorrebbe ritornare o iniziare una nuova esperienza sociale”. Lo sottolinea mons. Pasquale Cascio, arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, che oggi insiste su uno dei territori più martoriati dal terremoto del 23 novembre 1980.
“La Chiesa è impegnata in prima linea non solo per accompagnare, ma anche per coinvolgersi, a partire dalle sue strutture, dai cristiani impegnati in politica, nelle amministrazioni e nell’imprenditoria, dando il suo apporto più specifico di cultura storicamente trasmessa, di speranza connaturale al suo essere e di solidarietà e carità, come unica legge che la contraddistingue”, prosegue mons. Cascio.
“La Chiesa – osserva l’arcivescovo – semina speranza per sua natura in quanto testimone del Risorto. Seguendo l’immagine di Peguy, come la speranza porta per mano la fede e la carità, così è necessario, in questa realtà aggredita, camminare uniti, mano nella mano: essa non muore finché c’è una mano amica. La Chiesa deve offrire non solo gesti di speranza, ma presentarsi sul territorio come la comunità della speranza, capace sempre di infonderla, non per virtù propria ma per l’energia e la ricchezza del suo Capo: Gesù Cristo”.