“È una legge di Bilancio molto ingiusta, che privilegia i finanziamenti al dipartimento d’informazione dello Stato”, in un momento in cui il Paese è in ginocchio per le recenti inondazioni che hanno interessato soprattutto la parte settentrionale e orientale del Paese, a causa del passaggio della tempesta tropicale Eta. È questo il parere di mons. Rodolfo Valenzuela Núñez, vescovo della Verapaz e vicepresidente della Conferenza episcopale guatemalteca, intervistato dal Sir. Un giudizio dettato anche dall’esperienza diretta di quanto sta accadendo in queste settimane, dato che il dipartimento montano dell’Alta Verapaz è quello più colpito dalla tempesta Eta, assieme all’Izabal, e quello con il bilancio più drammatico in termini di vite umane.
Il vescovo accenna alla corruzione diffusa e al fatto che, anche in tale frangente, “la gente non si fida a dare aiuti a organismi governativi, preferisce darli alle Chiese”. Una situazione drammatica, quella dell’Alta Verapaz: “Il territorio è montuoso, molto vulnerabile. Due frane a Quejá hanno travolto circa 90-100 persone, altre 4-5 persone sono morte nella zona di Cobán e San Pedro Carchá. Moltissime persone hanno perso tutto. Cobán, capoluogo del dipartimento, la città dove anch’io vivo, è rimasta a lungo isolata, per il crollo di quattro ponti. Ancora adesso l’acqua viene erogata a singhiozzo, e così pure l’elettricità. L’intervento dello Stato è molto lacunoso ed è stato tardivo e finora non significativo.
Mons. Valenzuela sottolinea invece, il grande lavoro a livello ecclesiale: “C’è stata molta solidarietà, con numerosi interventi sia da parte della Chiesa cattolica che degli evangelici. Le parrocchie e le chiese hanno organizzato dei centri di accoglienza per coloro che sono stati colpiti dall’alluvione, oltre che centri di raccolta. In un centro d’accoglienza abbiamo purtroppo avuto un focolaio di Covid-19. Nel territorio ci sono comunità rimaste isolate per 15 giorni, completamente inondate, luoghi praticamente inaccessibili, dove, per esempio, non è neppure arrivato il coronavirus”. La gente, conclude il vescovo, “non vive questa calamità con rabbia, ma con accettazione e con l’aiuto di un diffuso sentimento religioso popolare”.