“Sotto le macerie del sisma che ha colpito – nei territori dell’Alta valle del Sele, allora parte della diocesi di Campagna e attualmente appartenenti alla nostra arcidiocesi – particolarmente paesi come Laviano, Castelnuovo di Conza, Santomenna ed altri comuni viciniori, è un intero mondo di valori che si è fermato ed è crollato: un capitolo nuovo della storia si è aperto tra il sangue e le lacrime di quella gente. Tuttavia, nella logica della fede, anche il dramma stesso del dolore e della morte si illumina di senso e di luce nuova, così che anche il momento più difficile e tragico può diventare un seme di rinascita e di ripresa”. Lo scrive mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, in un messaggio per il terremoto che colpì l’Irpinia, ma anche altre zone della Campania, il 23 novembre 1980. “La presenza dei volontari (tra cui tanti sacerdoti) che si mobilitarono da tutta Italia per prestare soccorso e consolazione con umanità e preghiera in quei giorni e mesi, il sorgere del primo embrione della Protezione civile e della Caritas diocesana, la vicinanza di tanti parroci alla gente in difficoltà e l’impegno di singoli e famiglie nel tessere nuovamente un tessuto umano e sociale altrimenti lacerato dalla paura e dalla perdita di vite umane e di beni materiali – sottolinea il presule – sono stati i segni umani di una resurrezione già operante nella fase immediata dell’emergenza”.
Prendendo spunto dal dramma di 40 anni fa, l’arcivescovo si chiede: “Come oggi ci rendiamo prossimi a chi vive in situazione di difficoltà materiale e spirituale? Quali azioni la nostra comunità – civile ed ecclesiale – è capace di esprimere nei confronti di altre forme di povertà, magari acuite dal dramma attuale dell’epidemia da Coronavirus? La ricostruzione ha interessato sicuramente le nostre chiese e strutture religiose, ma la nostra adesione al Vangelo di Cristo si è poi tramutata in esigenza di un rinnovamento del nostro cuore e della nostra espressione della fede alla luce di quanto dice Gesù?”.
Il messaggio del presule vuol essere “un segno della presenza della Chiesa nella storia e nella vita concreta della gente: non una Chiesa, quindi, che si arrocca e si difende, ma una comunità – quella rinnovata e abitata dalla grazia di Dio – che desidera coinvolgersi pienamente con i drammi dei propri fratelli e sorelle, nella storia di ieri e di oggi. Un messaggio che non vuole semplicemente rinnovare un ricordo sbiadito dal tempo, ma una memoria che interpella tutti noi, ad ogni livello, a fare della speranza un motore di rinascita e di impegno civile, oltre che ecclesiale”. “Un messaggio – conclude mons. Ballandi – che vuole infine gettare un seme di fiducia su questo tempo segnato da un nuovo dramma umanitario, sul quale siamo chiamati e desideriamo proiettare la luce di Cristo – Agnello immolato, ma vittorioso – sul dolore e sulla morte”.