L’industria della pesca, che dà lavoro a circa 60 milioni di persone, è fortemente penalizzata dall’impatto del Covid-19. A lanciare il grido d’allarme è il card. Peter K.A. Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, nel messaggio in occasione della Giornata mondiale della Pesca, che si celebra domani. “L’impatto del Covid-19 sull’industria della pesca riguarda essenzialmente l’ambito delle risposte strategiche dei governi alla pandemia, quali il distanziamento sociale, la chiusura dei mercati della pesca, la riduzione della clientela degli hotel e dei ristoranti”, spiega il cardinale: “Ciò ha creato grossi problemi per la vendita del pesce fresco, e dei prodotti correlati principalmente per quanto riguarda il crollo della domanda e l’abbassamento dei prezzi offerti per il pescato così che, nella situazione attuale, la pesca, la lavorazione del pesce, il consumo e il commercio sono andati costantemente diminuendo”. Senza contare i “problemi cronici” del settore, come la pesca intensiva e la pesca “illegale, non regolamentata e non dichiarata (INN) che continuano in tutto il mondo sotto ogni tipo di bandiera, da parte di gruppi che dispongono di flotte potenti e risorse migliori”, violando le leggi e i regolamenti nazionali e internazionali. “Questo stato di cose penalizza i pescatori regolari e le comunità di pescatori con una concorrenza sleale ed esaurisce gli stock ittici ad un ritmo che non permette alla specie di recuperare”, il monito di Turkson a proposito di “una pratica che non è sostenibile e che comporta una diminuzione delle popolazioni ittiche e una riduzione della produzione futura”. I danni causati dalla pesca INN e da quella intensiva, infatti “non riguardano soltanto la popolazione costiera in quanto miliardi di persone necessitano del pesce per il loro approvvigionamento in proteine, e la pesca è la principale fonte di sostentamento per milioni di persone in tutto il mondo”.