Colombia: denuncia della Chiesa, fermi al palo i programmi per la sostituzione delle coltivazioni di coca previsti da accordi di pace

I progetti partecipati per la sostituzione delle coltivazioni illecite di coca, pur previsti dagli accordi di pace del 2016, procedono molto a rilento, in uno scenario di povertà cronica e crescente presenza di gruppi armati nelle zone interessate. La denuncia arriva dalla Chiesa colombiana, attraverso il Segretariato nazionale di pastorale sociale, che ieri ha tenuto un seminario virtuale, al quale ha potuto prendere parte anche il Sir.
“Solo 726 famiglie di piccoli agricoltori hanno completato il processo di sostituzione delle proprie coltivazioni – ha denunciato Rocío Del Pilar Peña Huertas, docente all’Università del Rosario e coordinatrice accademica dell’Osservatorio di restituzione e regolazione dei diritti di proprietà -. In tutto i progetti potenziali sono 99.000”. Nel frattempo il Congresso non ha legiferato in materia, così come era previsto, e 247 leader comunitari sono stati uccisi nei territori di maggiore produzione di coca. Contemporaneamente, sono tornati progetti di eradicazione forzata, che “hanno provocato 95 episodi scontro, che nel 6% dei casi hanno registrato morti e nel 20% feriti”.
La questione, ha spiegato Juan Carlos Garzón, della Fondazione “Ideas para la paz”, è “di carattere strutturale. È concentrata in alcune zone, dato che buona parte delle coltivazioni di coca si trova in dieci Municipi colombiani, con una presenza che risale ormai a decenni fa. Non ci si possono aspettare risultati in temi brevi, è un cammino molto lungo”. I due relatori hanno insistito sul ruolo fondamentale della Chiesa, rappresentata al seminario da tre vescovi: mons. Orlando Olave Villanoba, vescovo di Tumaco (Nariño), mons. Luis Albeiro Maldonado, vescovo di Mocoa-Sibundoy (Putumayo), e mons. Carlos Alberto Correa, vicario apostolico di Guapí.
I tre presuli hanno confermato la difficile situazione dei loro territori, rispetto ai quali, ha spiegato mons. Albeiro, “la Chiesa è un polmone d’ascolto”. Resta il fatto, ha denunciato mons. Correa, che “il progetto di eradicazione volontaria non ha fatto alcun passo in avanti, sarebbe importante il ruolo delle Istituzioni statali, che qui sono assenti o squalificate. È fondamentale, come Chiesa, accompagnare e ascoltare le famiglie, le loro grida e preoccupazioni”. Mons Olave ha parlato di “piccoli progressi, che sono avanzati al massimo del 10%. Stiamo però prendendo coscienza del problema, che è conseguenza di questioni strutturali di fondo, a partire dalla povertà dei piccoli contadini e dalla costante presenza di gruppi armati”.
Di conseguenza, è stato detto in conclusione, difficilmente la piaga delle coltivazioni di coca sarà abbattuta senza affrontare le questioni della trasformazione territoriale e dello sviluppo rurale. Cosa da fare, secondo il direttore del Segretariato di pastorale sociale, mons. Héctor Henao, ponendosi in ascolto e coinvolgendo le diverse comunità.

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