Uno studio conferma la correlazione, nell’uomo, tra uno squilibrio del microbiota intestinale e lo sviluppo delle placche amiloidi nel cervello, che sono all’origine dei disturbi neurodegenerativi caratteristici della malattia di Alzheimer. A questo risultato è arrivato il lavoro eseguito un team dell’Irccs Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia insieme ai colleghi dell’Università di Napoli, Irccs Centro ricerche Sdn di Napoli, dell’Università di Ginevra (Unige) e degli Ospedali universitari di Ginevra (Hug) in Svizzera. “Le proteine prodotte da alcuni batteri intestinali, identificate nel sangue dei pazienti, potrebbero modificare l’interazione tra il sistema immunitario e il sistema nervoso e innescare la malattia”, viene spiegato in una nota. I risultati dello studio, riportati sul Journal of Alzheimer’s Disease, consentono di prevedere nuove strategie preventive basate sulla modulazione del microbiota delle persone a rischio.
I batteri intestinali possono influenzare il funzionamento del cervello e promuovere la neurodegenerazione attraverso diverse vie. “I nostri risultati sono evidenti: alcuni prodotti batterici del microbiota intestinale sono correlati con la quantità di placche amiloidi nel cervello”, spiega Moira Marizzoni, ricercatrice presso il Centro Fatebenefratelli di Brescia e prima autrice di questo lavoro. “In effetti, livelli ematici elevati di lipopolisaccaridi e alcuni acidi grassi a catena corta (acetato e valerato) erano associati ad un segnale Pet più elevato. Al contrario, alti livelli di un altro acido grasso a catena corta, il butirrato, erano associati a una minore patologia amiloide”.
Questo lavoro fornisce quindi la prova di un’associazione tra alcune proteine del microbiota intestinale e l’amiloidosi cerebrale attraverso un fenomeno infiammatorio del sangue. Gli scienziati ora lavoreranno per identificare batteri specifici, o un gruppo di batteri, coinvolti in questo fenomeno.