“Chi deve desistere, desista, chi deve rettificare, rettifichi, chi deve rinunciare, rinunci”. Risuonano forti e chiare le parole dell’arcivescovo di Lima, mons. Carlos Castillo Mattasoglio, nell’omelia della messa domenicale nella cattedrale della capitale peruviana. E tutti capiscono a chi si riferisca l’arcivescovo. Proprio negli stessi minuti, infatti, dopo soli 5 giorni di presidenza, Manuel Merino, rassegna le sue dimissioni. Si è conclusa, così, la settimana più lunga del Perù, e se ne è aperta un’altra ugualmente cruciale e incerta. Sembra passato un secolo: lunedì scorso il Congresso ha decretato la decadenza del presidente della Repubblica Martin Vizcarra per “incapacità morale”, per un supposto episodio di corruzione; il giorno successivo Merino ha giurato come Capo dello Stato. Immediatamente moltissime persone sono scese in piazza, mentre da più parti (come ha detto al Sir il giurista ed ex premier Juan Federico Jiménez Mayor) si è avvertito che il “colpo di mano” del Parlamento (peraltro diviso e frammentato) rappresentava, oltre che una scelta avventata, un “tradimento della Costituzione”. Tuttavia, pur senza essere riconosciuto dai principali Paesi, il nuovo Governo ha preso faticosamente il via, mentre venerdì si teneva la più grande manifestazione di protesta della storia del Perù. Sabato una nuova manifestazione, repressa nel sangue: il bilancio è di due giovani morti, Jack Brayan e Jordan Inti, circa un centinaio di feriti e, secondo l’ong Coordinamento nazionale dei diritti umani, sono 7 le persone di cui non si hanno notizie. Un bilancio grave, che ha provocato le dimissioni di 13 ministri e, alla fine anche quelle del presidente. Il Parlamento, riunito fino a tarda sera, non ha trovato una soluzione né per l’elezione dei propri vertici né per la successione alla Presidenza della Repubblica e tornerà a riunirsi oggi, dopo che non sono state accettate le richieste di Rocío Silva Santisteban (parlamentare di sinistra del Frente Amplio, che aveva votato contro l’impeachment a Vizcarra), candidata a ricoprire la carica di presidente del Parlamento
L’arbitrarietà dell’operazione politica, da un lato, e l’invito ad ascoltare la protesta pacifica popolare dall’altro, sono stati presenti in varie dichiarazioni a livello ecclesiale: da quelle, ripetute di mons. Castillo, a quelle del cardinale Pedro Barreto, arcivescovo di Huancayo, fino al comunicato, in parte ormai superato dagli eventi, letto sabato dal presidente della Conferenza episcopale peruviana, mons. Miguel Cabrejos: “È essenziale ascoltare e prestare importanza alle grida e alle richieste della popolazione, per recuperare la fiducia, la tranquillità e la pace sociale. Per questo è fondamentale lo sforzo per un profondo e ampio dialogo sociale”.