“A pagare il prezzo più alto al lockdown sono stati i più poveri: quasi una persona su due (il 42,3%) tra le persone che sono ricorse ai centri di ascolto nei tre mesi della quarantena ha sofferto le conseguenze del blocco delle attività economiche”. Lo si legge in un comunicato di Caritas Ambrosiana, che oggi ha presentato un rapporto sulla povertà in diocesi di Milano. “I lavoratori più colpiti sono stati quelli impiegati nei settori della ristorazione (lavapiatti, camerieri), ospitalità (custodi, cameriere ai piani) e della cura alla persona (colf e badanti)”. Analizzando il campione, aggiunge la nota della Caritas, emerge il profilo degli “impoveriti da Covid”. Le donne sono il 59,3%, gli immigrati il 61,7%. La fascia di età maggiormente rappresentata è quella tra i 35 e i 54 anni (58,4%). La maggioranza (55%) è costituita da coniugati, da persone con bassa scolarità (62,9%). I disoccupati rappresentano il 50%, gli occupati il 34%. “Proprio quest’ultimo dato – è il commento – è il più rilevante. Infatti, mentre tra gli utenti dei centri di ascolto i titolari di un contratto di lavoro sono in media un quinto (nel 2019, il termine di paragone più vicino, erano il 19%), durante il lockdown sono saliti a un terzo (33,4%) per lo più a causa del ricorso al sistema di aiuti della Caritas da parte degli occupati titolari di cassa integrazione”.
Il “significativo aumento” dei cassaintegrati “è dovuto, da un lato, al ritardo con cui sono arrivati gli indennizzi, dall’altro dagli importi modesti delle stesse indennità calcolate su stipendi base troppo scarsi rispetto al costo della vita soprattutto nelle aree metropolitane della diocesi”.