Ebrei e cristiani sono “inseparabilmente legati nel fondamento essenziale della fede nel Dio di Israele” e “uniti da una ricca eredità spirituale comune e dall’eredità di un passato condiviso di lunga data”. In un tempo di crescenti forme di antisemitismo nel mondo, soprattutto in Europa, risuonano forti le parole del card. Kurt Koch, presidente della Commissione per i rapporti religiosi con gli ebrei della Santa Sede, scritte in un messaggio pubblicato oggi in occasione del 55° anniversario della dichiarazione “Nostra Aetate”. E subito dopo aggiunge: “Il cristianesimo ha le sue radici nel giudaismo; quest’ultimo costituisce il nucleo della sua identità. Gesù è e rimane un figlio del popolo d’Israele; è plasmato da quella tradizione e, per questo, può essere compreso veramente solo nella prospettiva di questo quadro culturale e religioso”. Era il 28 ottobre del 1965, quando dal Concilio Vaticano II uscì la dichiarazione “Nostra Aetate” che aprì in modo irreversibile il mondo cattolico al dialogo con gli ebrei. Per commemorare la storia di questi 55 anni di amicizia ebraico-cristiana, si sarebbe dovuta tenere a San Paolo, in Brasile, una riunione del “Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico” (Ilc) alla fine di ottobre 2020. Per motivi legati alla pandemia, la Commissione vaticana per le relazioni religiose con gli ebrei (Crrj) e il Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose (Ijcic) hanno dovuto rinunciare all’incontro e hanno deciso di scambiarsi messaggi pubblici di amicizia e impegno a proseguire questo dialogo.
Nel suo testo, il card. Koch parla della dichiarazione conciliare come di una pietra miliare per i rapporti tra cattolici ed ebrei: “Può quindi essere giustamente considerata la ‘Magna Carta’ del dialogo ebraico˗ cattolico”. “Dopo che Papa Giovanni Paolo II ha parlato degli ebrei come i fratelli maggiori dei cristiani e Papa Benedetto XVI come i nostri padri nella fede, noi oggi possiamo parlare di una comunità di fratelli e sorelle tra ebrei e cristiani”. “Il dialogo tra cattolici ed ebrei ha fatto propria questa visione, in uno spirito di fraterna e autentica amicizia”. Il cardinale ripercorre “con gratitudine” i frutti generati da questa amicizia anche “sul piano della convivenza quotidiana” con la nascita in tutto il mondo di gruppi che hanno fatto propria la finalità di “costruire ponti tra ebrei e cattolici nello spirito della ‘Nostra Aetate’”. Occorre però proseguire lungo questa strada per “acquisire una comprensione reciproca più profonda, sempre nel rispetto reciproco delle tradizioni religiose reciproche”. Si tratta di un impegno – scrive il card. Koch – che “non deve mai essere trascurato, particolarmente nei campi dell’educazione e della formazione”.