Ictus e Covid-19: Campus biomedico, drammatico calo pazienti in pronto soccorso. Di Lazzaro (dir. Neurologia), “agire subito per evitare danni permanenti”

La pandemia da Coronavirus ha avuto un impatto notevole su tutte le patologie e in particolare quelle cosiddette “tempo-dipendenti” come ictus e infarto del miocardio, in cui il fattore tempo fa la differenza tra la vita e la morte. Per paura di contrarre il Covid-19, molti pazienti colpiti da queste patologie non si sono recati tempestivamente al pronto soccorso, mettendo a rischio la propria vita. Secondo la Siems (Società italiana emergenza sanitaria) solo a Roma tra marzo e aprile 2020 si sono registrati 305 interventi di soccorso per ictus, contro i 358 dell’anno precedente.
“Nell’ictus l’intervallo di tempo dalla comparsa dei sintomi entro il quale è possibile effettuare gli interventi terapeutici efficaci, la somministrazione di farmaci o l’esecuzione di procedure per il ripristino dell’afflusso di sangue nelle aree ischemiche è molto limitato, per cui se i pazienti arrivano in ritardo in pronto soccorso si può arrivare a conseguenze disastrose”, afferma Vincenzo Di Lazzaro, direttore Uoc Neurologia del Policlinico universitario Campus Bio-Medico. “Se non riesce a muovere un braccio” potrebbe essere a causa di un’ischemia cerebrale e “non c’è tempo da perdere poiché il tempo per salvare il cervello è molto limitato”.
L’ictus va riconosciuto dai sintomi di presentazione che in lingua inglese vengono descritti dall’acronimo Fast – Face, Arm, Speech, Time – ovvero: di fronte a improvvisa deviazione della bocca, debolezza di un arto, difficoltà a parlare o a comprendere ciò che viene detto, bisogna agire rapidamente in poco tempo per scongiurare danni cerebrali irreversibili, recandosi tempestivamente in pronto soccorso. Per quanto riguarda il rischio di contrarre l’infezione da Covid, Di Lazzaro assicura: “I pronto soccorsi si sono adeguati” per gestire “all’interno di percorsi differenziati i pazienti con sintomi sospetti rispetto agli altri che vengono presi in carico all’interno di un percorso di cura tradizionale”.

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