“La terapia genica va ricusata quando non è al servizio della salute”. Lo dichiarano Matteo Ruggeri, ricercatore all’Iss e docente di Politica economica ed Economia applicata alla St Camillus International University of Health and Medical Sciences, e Angelo Palmieri, sociologo della Caritas di Cassano all’Jonio, affrontando la problematica delle terapie geniche “fra etica, efficienza e problemi di equità in una prospettiva di un welfare che tenga conto anche l’aspetto economico”. Accettare le terapie geniche nelle condizioni citate prima “significa accettare come conseguenza che, nel tempo a venire, tali trattamenti si rendano disponibili solo mediante programmi di assicurazione privata, disegnati secondo individuali esigenze ‘consumistiche’ – osservano – e non necessariamente regolate dal rapporto fra medico e paziente”. Il rischio indicato è che questi trattamenti siano “destinati, secondo le logiche del mercato, a chi è in grado di pagarli, o magari di rimborsarli nell’arco della vita naturale”. Gli studiosi ricordano che “queste terapie, al pari dei test diagnostici che hanno come obiettivo la mappatura del patrimonio genetico, rappresentano efficaci strumenti nel trattamento di patologie che oggi mostrano un ampio spettro di bisogni disattesi, a cominciare dalle malattie rare e da alcuni tipi di tumore”. “È fondamentale rammentare che la salute è un diritto dell’essere umano – aggiungono -: povertà, iniquità, sfruttamento, ingiustizia sono le concause di malattie e morti premature. È noto come l’investimento in ricerca e sviluppo teso a rendere le nuove terapie geniche efficaci e sicure richieda un grande impegno che inevitabilmente si ripercuote sui costi dei conseguenti trattamenti. Sebbene attualmente l’ambito di queste terapie sia limitato alle patologie rare e ad alcune forme neoplastiche, ci si attende che nei prossimi anni possano trovare più ampia applicazione nei vari campi della medicina con conseguenti problemi di sostenibilità”.