“Resto per camminare tra voi e con voi, nella fede e nella speranza, attendendo la Forza che viene dall’alto. Vorrò camminare innanzitutto con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi e i seminaristi: con loro resto al servizio di tutti, per testimoniare e imparare il primato di Dio e dei Suoi tempi, la pazienza della semina, l’attesa colma di speranza e certa dei frutti dello Spirito”. Usa il verbo “restare”, mons. Pierbattista Pizzaballa, per sintetizzare il suo stato d’animo davanti alla nomina, da parte di Papa Francesco, a patriarca latino di Gerusalemme. Una nomina che giunge alla vigilia della festa della Beata Vergine Maria, Regina di Palestina, patrona della diocesi del Patriarcato latino. “Non posso sottrarmi alla suggestione e al ‘peso’ di questo verbo. È il verbo della pazienza matura, dell’attesa vigile, della fedeltà quotidiana e seria, non sentimentale e passeggera” scrive Pizzaballa che si lascia andare a una piccola confessione che ha il sapore del retroscena: “Quando pensavo che il mio mandato a Gerusalemme fosse concluso (dopo 4 anni da amministratore apostolico, ndr), mi è arrivato un nuovo invito di Papa Francesco che mi vuole Patriarca. E così mi si chiede stavolta di restare”. “Restare”, “rimanere”, per il nuovo Patriarca, “è anche il verbo dell’amore, quello vero, quello che si impara nel Cenacolo e al Getsemani. È per me il significato più difficile. In un tempo caratterizzato sempre più dall’evasione e dalla fuga, dalla velocità e dalla ricerca di emozioni sempre più forti, sembra quasi un invito superato, vecchio, impossibile”. Nel suo messaggio alla diocesi mons. Pizzaballa ricorda i “problemi antichi e nuovi che ci affliggono”. Un elenco noto ripetuto più volte l’ultima solo pochissimi giorni fa, durante un incontro presso l’Ordine equestre del santo Sepolcro: “la politica dal corto respiro e incapace di visione e di coraggio, una vita sociale sempre più frammentata e divisa, un’economia che sta impoverendoci sempre di più, e da ultimo questa pandemia, con l’imposizione di ritmi lenti e contrari alla vita cui eravamo abituati”. E poi, ancora, “le nostre scuole in sempre maggiori difficoltà, le nostre comunità ecclesiali a volte così fragili e insomma i tanti problemi dentro e fuori di noi, che già conosciamo. Tutto ciò ci sta però insegnando dolorosamente ma, spero, efficacemente, che altri devono essere i passi e i ritmi dell’uomo, se vuole salvare se stesso e il mondo”. Da qui l’esortazione: “Non dobbiamo scoraggiarci. Ho sperimentato in questi quattro anni che, insieme ai tanti problemi, abbiamo anche le risorse, il desiderio e la forza di guardare avanti con fiducia, capaci di vivere l’ambiguità di questo tempo con speranza cristiana. E anche per questo sento rivolto anche a me e alla nostra Chiesa l’invito a ‘rimanere’ non tanto in un luogo, ma innanzitutto in una disposizione dell’animo, in una disponibilità vitale: restare fedeli al dono di Cristo e di noi stessi per la salvezza del mondo. So che ci attendono momenti difficili e scelte complesse, ma sono certo che uniti riusciremo a guardare al domani con fiducia, come è stato fino ad ora. Assicuro perciò a tutti la mia volontà di servire ciascuno, la nostra gente e la nostra Chiesa, di amarla per quanto possibile con quello stesso amore del Cenacolo e del Getsemani, mettendo a Vostra disposizione quello che sono e che ho. E chiedo a Voi di ‘rimanere’ con me nella stessa disponibilità, nella stessa decisione”.