Se i dati a livello globale mostrano che a morire di Covid-19 sono più gli uomini che le donne, “l’impatto socio economico nel breve e medio periodo ricade in misura sproporzionata sulle donne”. A dirlo è uno studio commissionato dal Dipartimento per i diritti e gli affari costituzionali del Parlamento europeo sugli “impatti di genere della crisi Covid-19”, che segnala anche come la criticità di questo tempo sia più pesante per quei gruppi di popolazione già di per sé vulnerabili, come le minoranze etniche, gli stranieri, la comunità Lgbt. Non perché il virus si accanisca particolarmente contro di loro ma in ragione di “interventi di sanità pubblica e politiche introdotte per arginare la pandemia”. Vari gli ambiti di ricaduta. Il primo: il 76% del personale sanitario è donna, quindi in questo momento sono le più esposte al virus (quasi l’11% dei contagi totali in Italia sono tra i sanitari; ma in Irlanda sono circa il 32%). A questa percentuale si aggiunge la fetta cospicua di donne impegnate in lavori di cura e accudimento (dal sociale, passando per la scuola, per arrivare anche alla pulizia). Il secondo riguarda il fatto che “le donne hanno assorbito la maggior parte del lavoro di cura informale e non retribuito durante la pandemia”, cosa che ha significato anche congedi non retribuiti o riduzioni dell’orario di lavoro. E nelle famiglie monoparentali (in maggioranza donne) questo ha avuto un impatto notevole sul piano economico e potrebbe averlo anche nella prevista recessione occupazionale che potrebbe avvenire nei prossimi mesi. Il terzo: la violenza domestica in aumento. Un quarto elemento è che in questo periodo di crisi sanitaria sono state anche “significativamente cambiate” le consuete prassi di cura pre e post-natale, a partire dal fatto che le donne sono rimaste più sole nei momenti del parto e post-parto.