“Irradiare nel mondo un sentimento di fraternità, concreto, tangibile, con il quale saper accogliere ogni fratello e sorella e allo stesso tempo rendere ogni nostra azione operativa, capace di gesti nuovi, gesti di lungimiranza, gesti di speranza nella storia della umanità”. È quanto ha esortato a fare il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, intervenendo ieri sera a Roma alla preghiera per la pace che si è svolta nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Il patriarca è giunto oggi in Italia dove lo attende un intenso programma. Domani pomeriggio parteciperà con Papa Francesco e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Incontro internazionale di preghiera per la pace tra le grandi religioni mondiali dal titolo “Nessuno si salva da solo – Pace e fraternità”, mentre mercoledì 21, alle 9.30, riceverà dalla Pontificia Università Antonianum il dottorato honoris causa in filosofia. Riflettendo questa sera sulle parole del Vangelo di Giovanni “Non vi ho chiamato più servi, ma vi ho chiamato amici”, il pensiero del patriarca si è rivolto alla Comunità di Sant’Egidio e ai “suoi successi”, il cui unico fine però – ha detto – “è la lode a Dio e l’attenzione verso gli ultimi e il cui frutto è veramente l’amore durevole, l’amore che rimane”. “Amare come Cristo – ha affermato Bartolomeo – significa donarsi completamente, senza misura e senza aspettarsi nulla in cambio e questo dono non può mai prescindere anche dal perdono, che dobbiamo sapere offrire senza alcuna condizione”. “Noi amiamo, perché Dio ci ha amati. Perdoniamo, perché Dio ci ha perdonati. Egli ci ha fatto suoi amici perché è un Dio della condivisione: ‘Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi’”. “Questa sera, amati fratelli e sorelle – ha evidenziato Bartolomeo -, condividiamo assieme l’assaggio di questa amicizia e di questo amore che Lui ci ha offerto in abbondanza. Lui che per questo amore ha sofferto ‘gli sputi, gli schiaffi, le percosse, gli oltraggi, gli scherni, la tunica di pòrpora, la canna, la spugna, l’aceto, i chiodi, la lancia e soprattutto la croce e la morte’”. “Sì – ha concluso -, perché il criterio per comprendere il nostro amore degli uni per gli altri non siamo noi stessi, non è la nostra buona disposizione, neppure le nostre opere, ma solamente Cristo, in cui tutta la nostra esistenza trova compimento”.