Le trattative iniziate tra emissari libanesi e israeliani per definire i confini marittimi tra Libano e Israele non possono essere interpretati come l’inizio della normalizzazione delle relazioni tra il Paese del Cedri e Israele, che non hanno mai formalmente revocato lo stato di guerra che li contrappone da decenni. Lo ha sottolineato il card. Bechara Boutros Rai, patriarca della Chiesa maronita, nel corso di una lunga intervista rilasciata alla rete televisiva libanese al Jadeed. “Abbiamo urgente bisogno di delimitare i confini marittimi per estrarre gas e petrolio”, ha detto il patriarca, rilanciato dall’agenzia Fides, “ma ciò non rappresenta una normalizzazione dei rapporti, che per ora non può avvenire”. Il porporato libanese, in proposito, ha aggiunto che la normalizzazione “non è facile e ci vorrà del tempo”, ha ricordato gli interventi militari israeliani in territorio libanese e ha evidenziato che nei rapporti bilaterali con Israele il Libano vive “circostanze diverse da quelle dei Paesi che hanno firmato un accordo di pace con Israele”. Il primo round di negoziati sui confini marittimi con la controparte israeliana si è tenuto oggi in un campo allestito all’aperto (a causa delle misure anti-pandemia) presso Naqura, città libanese al confine con Israele. I colloqui indiretti avvengono attraverso la mediazione degli Usa e delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno occupato da un decennio il ruolo di mediazione tra Libano e Israele sulla questione controversa dei confini, ma solo all’inizio di ottobre è stato annunciato il tentativo di varare un accordo-quadro, con il consenso delle due parti. Il Libano sta affrontando una crisi economica devastante e ha urgente bisogno di attingere senza problemi ai giacimenti naturali individuati davanti alle sue coste. Sulla crisi economica libanese pesano anche le sanzioni statunitensi che recentemente hanno messo sotto tiro anche due influenti ex ministri del governo alleati con il Partito sciita di Hezbollah. Proprio Hezbollah e altre formazioni sciite hanno espresso il proprio dissenso nei confronti dei negoziati sulle frontiere marittime con Israele, nonostante da ambedue le parti i negoziati vengano presentati come una questione puramente tecnica, che non implica alcuna normalizzazione dei rapporti bilaterali. Al centro dei negoziati c’è un’area marittima di 860 chilometri quadrati, rivendicata sia dal Libano sia da Israele come parte delle proprie acque territoriali.