“Nel 2006 in un giorno di ottobre incontrai Carlo, che già presagiva la morte. Fui chiamato per amministrargli i sacramenti dell’unzione dei malati e dell’Eucaristia”. Inizia così la testimonianza che don Sandro Villa, cappellano all’ospedale San Gerardo di Monza, che dette il viatico al beato Carlo, ha fatto oggi nella sala della Spogliazione del Palazzo vescovile di Assisi, nel corso dell’incontro “Malattia ed eucaristia, quando la sofferenza diventa luce”, moderato da Marina Menna, direttore dell’Ufficio diocesano della pastorale della salute e introdotto dal vescovo Domenico Sorrentino. “In una stanzetta, in fondo al corridoio, mi trovai davanti un ragazzo. Mi sorprese il suo volto pallido ma sereno – ha continuato – impensabile in un malato grave, specialmente adolescente. Fui meravigliato anche per la compostezza e la devozione con le quali, pur con fatica, ricevette i due Sacramenti. Sembrava che li attendesse e ne sentisse il bisogno. Fu l’unico incontro che ebbi con Carlo, rimase in ospedale pochissimi giorni: un incontro breve, perché sofferente. Le uniche parole furono i saluti vicendevoli e il suo ringraziamento. La mamma mi accompagnò fuori dalla stanzetta. Aveva un volto stanco, frastornato dalla tragedia che si stava abbattendo sulla famiglia. Per un po’ di tempo mi ritornò alla mente il volto sereno di Carlo”. Dopo alcuni anni, continua il racconto, “ero già nell’attuale ospedale, seppi che era dichiarato ‘venerabile’. Mi stupii che il Signore me lo avesse fatto incontrare anche per pochi istanti. Poi fui presente alla chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione. E decisi di conoscere la sua vita. Scoprii che era innamorato di Gesù presente nell’Eucaristia e cominciai, quindi, a comprendere alcune sue parole. Il suo slogan ‘Tutti nascono come originali’, lo interpreto così: per ognuno di noi, Dio, nel suo amore stabilisce un percorso personale di santità per la propria piena realizzazione”. È poi intervenuto don Massimo Angelelli, direttore nazionale dell’Ufficio della Pastorale della salute che, si è soffermato su come il dolore e la malattia possano cambiare la vita delle persone. “La sofferenza – ha spiegato – può diventare luce se ci facciamo abitare da essa, oppure se ci lasciamo trasformare, se non la nascondiamo, se ne ricerchiamo il senso, se la testimoniamo e quando viene vissuta all’interno di una comunità”. Al termine dell’incontro è stata letto uno scritto di due medici, Andrea Biondi e Mòmcilo Jankovic della Clinica pediatrica e Centro di ematologia pediatrica all’ospedale San Gerardo di Monza: di Carlo “ci sono però rimasti impressi i suoi occhi dolci, il suo sguardo pieno di attenzione per quanto gli stava accadendo, di coraggio, di amore, di forte empatia. Traspariva in lui quella sua fede in Dio che aveva già voluto, e voleva ancora, trasmettere agli altri, a un suo prossimo. Incolpevole, ma attonito di fronte alla battaglia che stava perdendo. Il suo sguardo dolce, pur nel suo dramma, ci ha insegnato molto: la vita, breve o lunga che sia, va vissuta fino in fondo intensamente per se stessa, ma anche e soprattutto per gli altri”.