“Dal momento in cui è uscito dal palazzo della Farnesina, venerdì sera alle 18.30, fino a sabato alle 10.30, quando è partito con i familiari per raggiungere la casa di famiglia a Madignano, ho avuto la fortuna di trascorrere con lui 15 ore. Momenti che non dimenticherò mai, che resteranno per sempre impressi nei miei occhi e nella mia mente”: così racconta, sul sito della Società delle Missioni Africane, padre Antonio Porcellato, superiore generale della Sma, che in questi ultimi due anni ha seguito molto da vicino le vicende del rapimento di padre Gigi Maccalli, tenendo i contatti, a nome dell’istituto, con l’Unità di crisi della Farnesina.
Padre Antonio spiega che “padre Gigi ha parlato per un’ora, senza stancarsi”. “Sabato, p. Gigi con i familiari è venuto alla messa di comunità, alle 7.30. Era la prima messa a cui poteva concelebrare dopo più di due anni di digiuno eucaristico. Presiedeva il giovane confratello nigeriano p. John. Una messa semplice, feriale. Al momento dell’omelia p. John non ha voluto dire niente. Ci ha detto: ‘Facciamo silenzio, lasciamo scendere nel cuore quello che abbiamo vissuto in questi giorni’. Abbiamo tutti apprezzato e in quei momenti di silenzio abbiamo interiorizzato parole e avvenimenti di cui siamo stati testimoni privilegiati”.
Prima di tornare a casa, p. Maccalli ha chiesto di poter fermarsi al cimitero di Primaporta, per pregare sulla tomba di Miriam Dawa, una ragazzina del Niger di 13 anni, che p. Gigi era riuscito a far venire in Italia, all’ospedale Bambin Gesù, per delle cure al cuore. Ma la malattia era più grave del previsto e Mariam non ce l’ha fatta. Dopo aver pregato, ha cercato in auto il suo rosario della prigionia, fatto di stracci annodati. Ha voluto che rimasse lì, appeso a un braccio della croce della tomba. “Un gesto che mi ha profondamente colpito, un gesto bellissimo, importante”, sottolinea p. Porcellato, che ricorda “la grande fede di Gigi, nonostante i dubbi. Gigi ha detto che all’inizio si è un po’ arrabbiato con Dio: perché aveva permesso questo? In quel deserto si sentiva abbandonato, non sapeva dove ogni volta lo portavano i suoi carcerieri. Dubbi anche sul ruolo della Sma: cosa stanno facendo per liberarmi?”.
Padre Maccalli non ha mai perso la speranza, la fiducia, il senso della presenza di Dio che lo accompagnava ovunque, dice p. Antonio. I suoi compagni di prigionia si erano convertiti all’Islam, più per convenienza che per convinzione, ma lui ha sempre resistito alle insistenze dei terroristi: “È sempre rimasto sereno nella sua fede, indefettibile nel suo rapporto con il Signore”.
“Mi ha colpito anche il suo appello al perdono, alla fraternità, alla speranza che si possa arrivare a una comprensione con i jihadisti – conclude padre Porcellato -. Ci sono altri ostaggi rimasti nelle mani dei terroristi. Dobbiamo avere in noi l’ideale della fraternità, insiste p. Gigi, e cercare di risolvere i nostri conflitti e le nostre incomprensioni con la non violenza”.