La vicenda che ha per protagonista un undicenne di Napoli, che nella notte tra il 28 e il 29 settembre si è tolto la vita lanciandosi giù dal balcone – pare vittima di “challenge dell’orrore”, giochi che si svolgono on line e che comprendono atti di autolesionismo e, alla fine, anche il suicidio -, “ci intristisce molto e ci lascia senza parole. Ci scopriamo di fronte a questi fenomeni dei social tutti deboli, in qualche modo un po’ perdenti dal punto di vista educativo”. Lo dice al Sir mons. Vincenzo Doriano De Luca, vice direttore di Nuova Stagione, il settimanale diocesano di Napoli, e parroco della chiesa dell’Immacolata Concezione a Capodichino. “Noi pensiamo di poter governare i social, di aver capito il loro utilizzo, ma poi ci rendiamo conto che questa comprensione non ha niente a che vedere con la dimensione culturale, perché, anche in una famiglia dove c’è un sistema culturale e educativo più compatto, corriamo il rischio di trovarci comunque di fronte a situazioni estremamente gravi. Questo è un ritardo di tutta la società e di tutti quelli che hanno responsabilità educative: la famiglia, la scuola e anche un po’ la Chiesa, perché in qualche modo arranca e fa fatica a stare al passo con i tempi, scontando dei ritardi di carattere culturale per esempio rispetto ai mezzi di comunicazione sociale. Dunque, c’è un problema educativo alla base su cui dobbiamo riflettere tutti insieme”, sostiene il sacerdote.
Dall’altra parte, aggiunge, “c’è anche una responsabilità della società e delle istituzioni perché manca un controllo effettivo del mondo di internet, manca un controllo su questi giochi che imperversano sul web, prevenendo, interrompendo e sanzionando con pene più severe. Mancano leggi adeguate che tutelino la privacy e che consentano almeno un maggiore controllo del mondo web. In un social si può quasi dire qualsiasi cosa, ma difficilmente si andrà incontro a un processo o condanna e difficilmente ci sarà una riparazione del negativo che si è postato. Quindi, bisogna ritornare sui propri passi e riportare tutto ad un rapporto di convivenza pacifica”.
Nel caso in questione, “certamente bisogna capire chi c’è dietro a questo gioco che è stato fatale per il bambino e perseguirlo”, ma “è solo la punta di un iceberg dell’incapacità della società, nei suoi gruppi costituiti, a essere efficace dal punto di vista pedagogico-educativo. E questa è la conseguenza di aver troppo svuotato del loro valore e della loro centralità la famiglia, la scuola, la parrocchia, le istituzioni stesse con una politica urlata e di pancia. Così ognuno diventa uno Stato quasi a se stesso, pensando di poter fare e dire quello che vuole”. Mons. De Luca conclude: “Il fenomeno delle baby gang e una tragedia come quella del suicidio del bambino avvengono in strade diverse, in quartieri diversi, ma hanno una radice comune. Perciò, serve una rivoluzione culturale”.