“Il sole sorge su Erbil: tra ombra e luce preghiamo per la pace in Iraq e nella regione. Nessuna vittima qui stanotte: possa prevalere il dialogo tra persone di buona volontà”. Il convento domenicano Saint Dominique si trova nel cuore della città del kurdistan iracheno questa notte presa di mira dai missili iraniani diretti alle forze militari Usa e internazionali – italiane comprese – di stanza nella regione. Il convento è collocato proprio accanto all’aeroporto. Dei due missili lanciati dall’Iran – raccontano dal convento – uno è caduto a 50 chilometri da Erbil, in mezzo alla campagna, ed è esploso senza causare vittime, almeno secondo quanto riferiscono altre voci in loco. L’altro è caduto senza esplodere. Sul posto si trova anche padre Olivier Poquillon, già segretario generale della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea), che dallo scorso settembre si è trasferito in Iraq, per stare accanto alle popolazioni locali e alla comunità cattolica; in città c’è lo stesso convento da ricostruire. Poquillon racconta al Sir di una situazione che preoccupa tutti; lo sguardo è rivolto alla politica internazionale, a Teheran e a Washington, che – questo è l’auspicio – si spera non giochino d’azzardo, mettendo in pericolo altre vite umane. Questa mattina i bambini sono tornati a scuola – spiega il domenicano – e gli adulti sono andati a lavorare. “Abbiamo pregato per la pace e continuiamo a farlo”. Si temono nuove emigrazioni di massa, anche tra i cristiani: ciò che fa paura – ci spiegano da Erbil – non sono solo i missili, ma è l’attesa stessa, l’incertezza, il timore di una escalation bellica. In quel caso non sarebbero sul terreno solo forze iraniane e statunitensi, ma la guerra potrebbe estendersi allo stesso Iraq, ai Paesi arabi, forse a Israele, Libano, Siria. Terre già martoriate dalla guerra e soggette a forti esodi di massa.