Corte europea diritti umani: 44mila casi nel 2019, 884 sentenze, 38mila domande irricevibili. Record di ricorsi per Russia, Turchia, Ucraina, Romania, Italia

Strasburgo: sede della Corte europea dei diritti umani (foto SIR/CdE)

(Strasburgo) Sono 59.800 i casi che al termine del 2019 risultano essere deposti presso la Corte europea dei diritti umani (erano 56.350 alla fine del 2018). Di questi, un quarto (25,2%) sono legati alla Federazione Russa, poi ci sono Turchia (15,5%), Ucraina (14,8%), Romania (13,2%) e quindi l’Italia (5,1% dei casi pendenti). I dati emergono dal rapporto annuale che la Corte ha pubblicato oggi e da cui emerge che si è registrato un aumento complessivo del 3% di ricorsi presentati: 44.500 nel 2019, rispetto alle 43.100 l’anno precedente. Le sentenze emesse sono state 884, mentre 38.480 domande sono state dichiarate irricevibili o cancellate dall’elenco dei casi pendenti (con sentenza di giudice unico, o di un comitato di tre giudici o di una Camera). La Corte e il suo registro hanno continuato ad attuare nuovi metodi e procedure per accelerare i tempi di valutazione dei casi, tanto più che “dopo 60 anni di sentenze della Corte, esiste una giurisprudenza ben consolidata in molti settori e, di conseguenza, più ricorsi possono e saranno giudicati dai comitati”, afferma il Rapporto. Nel 2019 la rete dei “tribunali superiori” si è ampliata considerevolmente e conta ora 86 tribunali superiori in 39 Paesi, con i quali la Corte intrattiene relazioni bilaterali. Il dialogo cresce anche con la Corte di giustizia dell’Ue e con le altre corti per i diritti umani, un dialogo che il presidente Linos-Alexandre Sicilianos ha definito “il principale risultato del 2019” e “assolutamente vitale”.

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