Nel 2019 le adozioni internazionali in Italia hanno registrato, a livello nazionale e per molti enti autorizzati, una flessione, arrestandosi sotto quota mille. “Le cause del fenomeno sono da ricercarsi in una molteplicità di elementi e ci spingono ad una riflessione collettiva”, afferma intervenendo nell’ampio dibattito in corso Daniela Bertolusso, coordinatrice dell’associazione Amici di Don Bosco onlus, ente accreditato per l’adozione internazionale, emanazione del mondo salesiano, che, in controtendenza, negli ultimi tre anni ha aumentato il numero dei minori adottati, puntando molto su incontri di formazione “post adozione” e sulla ricerca delle origini, coinvolgendo genitori e giovani adottati.
Innanzitutto, secondo Bertolusso, “alcuni Paesi hanno avviato serie politiche di promozione dei diritti dell’infanzia e, anche grazie a un’economia in crescita, applicano con rigore il principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale, affidando alle famiglie straniere solo i minori che non trovano accoglienza in adozione nazionale (bambini grandi, con necessità particolari o speciali, nuclei di fratelli). In altri Stati si sono fatte strada tendenze nazionaliste: in queste ipotesi, la politica internazionale gioca sulla pelle dei bambini, che non hanno una valida alternativa nel loro Paese di nascita e sono destinati a crescere senza una vera famiglia. Altri Paesi hanno carenze strutturali (a livello di politiche e di personale) rispetto alle quali un serio lavoro di cooperazione guidato dalla Commissione adozioni internazionali (Cai) potrebbe in qualche modo essere d’aiuto”.
Sul versante italiano, “oltre alla discontinuità (in leggero miglioramento) delle relazioni tra la Cai e le Autorità centrali partner, gioca un ruolo decisivo la difficile corrispondenza tra le disponibilità all’accoglienza maturate dalle coppie e i bisogni dei bambini che oggi vanno in adozione internazionale. Un incastro sempre più delicato da realizzare, se si lavora con responsabilità e coscienza. Il richiamo alla responsabilità vale per tutti: per gli enti autorizzati, che non possono solo essere spinti dalla necessità di fare abbinamenti e che hanno il dovere di accompagnare per un periodo significativo le famiglie dopo l’adozione. Per coloro che valutano l’idoneità delle coppie, affinché si mantengano sempre più aderenti agli attuali scenari dell’adozione internazionale. Per le coppie, che magari sono in attesa da lungo tempo rispetto a un bambino che oggi ‘non esiste (quasi) più’, perché rinunciare a un progetto in cui si era investito molto, a livello affettivo e anche economico, richiede infinito coraggio. Per le autorità centrali, chiamate a progettare con tutti gli attori istituzionali e i partner stranieri un nuovo modello di adozione internazionale, che preveda adozioni miti, forme di affido internazionale che tutelino i diritti dei minori ad avere una famiglia”.