Oggi “la famiglia è malata”, “potremmo dire che ha la febbre”, ma “si può e si deve curare. Come di fronte a un male di stagione, occorre fermarsi e non sottovalutare la febbre, soprattutto per gli anziani, gli adolescenti e i bambini, i più fragili”. Lo ha affermato il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, nel Discorso di San Gaudenzio, durante la celebrazione per il patrono della diocesi e della città di Novara. “Mi sembra, tuttavia, che la febbre di questa stagione della famiglia stia proprio nel suo punto di forza – ha osservato il presule -. La famiglia italiana, infatti, dopo il secondo conflitto mondiale, è diventata gradualmente la famiglia nucleare, la “famiglia affettiva”, che vive in un appartamento. Questa sua vita “appartata” ha rinfrancato le relazioni personali, gli affetti della coppia, la presenza di papà e mamma, la voglia di casa dei figli. Questo è il suo punto di forza!”. Tuttavia, “questo può diventare anche il punto debole, perché ha allentato il suo rapporto con le generazioni precedenti, dal momento che i nonni sono chiamati in causa solo per impegni di supplenza e di servizio. Anche se spesso a loro sono lasciati importanti compiti educativi. In questa lenta marcia, la famiglia ha raggiunto nei primi trent’anni dal dopoguerra grandi risultati, per la casa, la scuola, il progresso e il benessere”.
Poi, “a partire dal 1989” e “soprattutto dopo la crisi del 2008”, “la famiglia è stata quasi travolta dal consumismo, cioè da un modo di vivere incentrato sull’avere, più che sull’essere, sul progresso economico, più che sulla crescita educativa, sulla disponibilità dei mezzi, più che sulla trasmissione dei valori e degli ideali. Abbiamo inoculato l’idea che le cose possano riempire la vita”, “creando l’anomalia italiana: dove il risparmio dei padri è diventato per i figli un alibi per non affrontare le sfide e le fatiche della vita. Una scusa che per loro rimanda sempre più il tempo per assumere le responsabilità del futuro, vale a dire il lavoro e la famiglia”.
Oggi, ha proseguito il presule, “viviamo una grave difficoltà ad educare: le famiglie, attonite, cercano intorno qualcuno che dia loro una mano nella formazione dei figli. Anche la denatalità sembra favorita dalla paura che nasce dal compito educativo, il quale per molti è diventato un’impresa impossibile”. Di qui l’invito a tutti i sacerdoti e alle comunità cristiane “a dedicare tanto tempo per favorire i cammini educativi dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani. Entriamo nelle case e nelle famiglie, stiamo accanto ai genitori, perché riscoprano la bellezza della casa come luogo degli affetti per crescere e far crescere: diciamo loro che bisogna dare ai figli meno cose e più presenza, più stimoli, incentivi, sostegni, sogni e speranze”.