(DIRE – SIR) – “Almeno oggi c’è una speranza, anche se insieme a tante preoccupazioni, non da ultimo il blocco petrolifero, con la pressione che sale e i prezzi di benzina e gasolio che rischiano di andare alle stelle”: così all’agenzia Dire mons. George Bugeja, vicario apostolico di Tripoli, all’indomani della Conferenza di Berlino sulla Libia. Il primo riferimento, nel colloquio telefonico, è al documento in 55 punti concordato ieri dalle delegazioni ospiti della cancelliera Angela Merkel. “Almeno oggi c’è una speranza”, scandisce mons. Bugeja, sottolineando però che sul rispetto del cessate il fuoco e su tanti altri aspetti è necessario aspettare per capire. “Qui oggi scuole, uffici e negozi sono aperti e in strada si respira un’aria di normalità”, dice il vicario apostolico. “A Berlino sembra sia stato compiuto un passo positivo ma per valutarne l’impatto reale bisognerà vedere come si svilupperanno le cose”. A spingere alla cautela anche la mancata firma sul documento da parte del primo ministro tripolino Fayez al-Serraj e del suo rivale, il generale Khalifa Haftar, alla guida dell’offensiva militare partita dalla Cirenaica ad aprile e giunta quasi alla periferia sud della capitale. “Era difficile immaginare andasse diversamente, certe cose possono cambiare solo con il tempo”, il commento di mons. Bugeja. Convinto che però, anche su questioni chiave, di tempo non ce ne sia molto. Il riferimento è anzitutto al blocco petrolifero suggerito dalle azioni di gruppi armati schierati con Haftar. Mentre a Berlino era in corso la conferenza è stato chiuso un oleodotto che collega i giacimenti meridionali di Sharara e El Feel al porto di Al-Zawiya, a ovest di Tripoli. Il blocco coinvolgerebbe sia il terminale di Mellitah, gestito da una società controllata alla pari dall’italiana Eni e dalla libica National Oil Company (Noc), sia pozzi dove operano in joint venture la francese Total e la spagnola Repsol. Secondo mons. Bugeja, “quella del petrolio è la questione cruciale” e “se gli oleodotti resteranno vuoti per il Paese sarà un problema”. Timori confermati prevedibilmente dalla Libyan Oil Corporation, che sabato ha calcolato le perdite per lo stop all’export dai terminali delle regioni centrali e orientali in 700mila barili per un valore di 55 milioni di dollari al giorno. C’è poi la dimensione politica, avverte il vicario apostolico di Tripoli: “Con i prezzi che salgono anche il governo è sempre più sotto pressione”. (www.dire.it)