“Il dialogo è costitutivo per qualsiasi prospettiva di pace. La pace, infatti, è allo stesso tempo il frutto del dialogo, ma anche la sua premessa: il dialogo vero e sincero porta alla pace nelle relazioni; allo stesso tempo, per dialogare seriamente è necessario avere un desiderio di pace e di incontro”. Lo ha ribadito mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, durante la messa del 1° gennaio, Giornata mondiale della pace, celebrata nella Città Santa. Nell’omelia l’arcivescovo, richiamando il Concilio Vaticano II e l’enciclica di Papa Paolo VI “Ecclesiam suam”, ha affermato che “la Chiesa ha fatto del dialogo l’asse centrale del suo annuncio”, purtroppo, “a distanza di più di 50 anni, dobbiamo registrare che i conflitti sono aumentati anziché diminuire; si è poi diffusa sempre più una mentalità individualista, che evidenzia gli interessi personali e individuali a scapito del senso di comunità. A livello sociale si può parlare più di negoziazione che di dialogo, cioè difesa di interessi specifici, di accordi contrattuali, e meno di atteggiamenti di fiducia reciproci. Le famiglie e in generale la coesione sociale sono diventate più fragili; aumentano le nostalgie identitarie contro il pluralismo religioso e culturale e, in generale, contro le complessità delle nostre società; le religioni sono percepite come fattori contrari alla coabitazione e fomentatrici di violenza. Anziché cercare di risolvere le questioni nell’ascolto reciproco – ha rimarcato mons. Pizzaballa – si fa appello alle autorità forti, che risolvano i problemi a nome nostro, risparmiandoci la fatica del percorso da fare insieme”. Non è mancato un riferimento al contesto della Terra Santa: “Dobbiamo fare i conti con i fallimenti dei tanti colloqui su possibili accordi di pace tra israeliani e palestinesi, con il fallimento degli accordi già raggiunti, con la violenza continua. Dobbiamo fare i conti con la sfiducia generale per possibili nuove prospettive, per il desiderio di pace, per un cambiamento possibile. Parliamo insomma di dialogo e di pace ma sappiamo nel nostro cuore che la realtà qui è diversa e che il dialogo è lontano dalla nostra vita reale”. A tale riguardo l’arcivescovo ha evidenziato come “non vi sia molto dialogo tra i membri delle diverse fedi religiose, all’interno delle nostre famiglie, nelle nostre comunità religiose e parrocchiali. Restando nei nostri contesti ecclesiali, vediamo che i nostri parroci devono intervenire sempre più spesso per mediare all’interno delle nostre famiglie, i nostri tribunali ecclesiastici stanno cercando di creare strutture di sostegno al dialogo per le famiglie, per evitare che, prima di chiedere la separazione ufficiale, provino almeno a parlarsi. Non parliamo poi dei problemi nelle comunità religiose. Il dialogo – ha sottolineato – è diventato un po’ il sinonimo di un atteggiamento irenico quanto irrealistico. Insomma questa parola è costitutiva della nostra vita relazionale a tutti i livelli, la usiamo sempre eppure sembra che non lo sappiamo fare poi così bene”. Dialogo è “diventata una parola fastidiosa perché vediamo da un lato il suo uso continuo in tutti i nostri discorsi pubblici e privati, ma dall’altro vediamo che la realtà è opposta a quanto diciamo continuamente”.