Emergenza

Venezuela: vescovi, in tutte le diocesi vicinanza al popolo e richiesta di un cambio politico

La Chiesa del Venezuela continua a essere vicina al suo popolo. Giungono da varie diocesi del Paese comunicati di vescovi e singole diocesi, che accusano il Governo di negligenza per il blackout, chiedono un cambiamento nel Paese e confermano lo sforzo straordinario di solidarietà e condivisione che la Chiesa sta compiendo. Una presa di posizione corale in qualche modo “sollecitata” dai vertici della Conferenza episcopale (Cev), proprio alla vigilia di un suo nuovo pronunciamento.
“Stiamo sperimentando situazioni molto tragiche, che vanno al di là del gioco politico”, denuncia il vicario apostolico di Tucupita, mons. Ernesto Romero. Il popolo “muore di fame, di sete, di mancanza di medicinali”. Dal vescovo un appello alle forze armate : “Mettetevi a fianco del popolo. Cessate la repressione”.
Mons. Polito Rodríguez Méndez, vescovo di San Carlos (Stato di Cojedes), scrive: “È necessario unirsi per salvare la patria. La crisi del Paese è di tale grandezza che nessun gruppo può farla cessare da solo”. Il vescovo chiede anche che gli “aiuti umanitari arrivino a breve termine”, perché “l’agonia di questo popolo ogni giorno sta lasciando vittime sul suo cammino”.
Mons. Mario Moronta, vescovo di San Cristóbal, fa notare che le spiegazioni del Governo sul blackout nazionale “non hanno convinto la maggioranza dei venezuelani”, mentre la situazione si è fatta ancora più grave, con il deperimento di numerosi cibi. Il vescovo apprezza che sia stata riaperta la frontiera tra lo Stato del Táchira e la Colombia per consentire ai ragazzi frontalieri che vanno a scuola in Colombia di poter proseguire le lezioni, ma lamenta il fatto che non possano rientrare in Venezuela con del cibo. E continua: “Manca un altro passo, aprire del tutto la frontiera”, consentendo così l’arrivo degli aiuti umanitari.
Mons. José Manuel Romero Barrios, vescovo di El Tigre, denuncia la drammatica situazione idrica e alimentare che si è venuta a creare dopo il blackout e accusa il Governo di alimentare una “cultura di morte”. “La gente sta chiedendo un autentico cambiamento”, scrive mons. Cástor Osvaldo Azuaje Pérez, vescovo di Trujillo, città colpita per 110 ore consecutive dal blackout. Mons. ‎Felipe González, vicario apostolico del Caroní, parla di repressione “assurda e vergognosa” verso gli indigeni. Se i fatti dello scorso 22 febbraio contro i Pomón ha avuto vasta eco, poco si sta parlando del fatto che la violenza verso queste popolazioni continua “con un numero imprecisato di altri morti e feriti”, mentre la frontiera con il Brasile resta chiusa.