Convegno Cei

Salute: Bebber (Aris), “adeguarsi al nuovo modo di fare sanità” costruendo “una rete di solidarietà cattolica aperta al territorio”

Non solo le corsie d’ospedale: “luoghi della sofferenza” sono anche la scuola; le famiglie; la carrozzina “quando non trova nessuno disposto a spingerla in avanti”; la strada “con i suoi letti di cartone carichi di sofferenza vera”; i barconi “che solcano il mare con il loro carico di disperazione in viaggio verso l’incognito, spesso nemico e violento”. Ne è convinto p. Virginio Bebber, presidente dell’Aris, intervenuto alla terza e ultima giornata del XX convegno nazionale “Uno sguardo che cambia la realtà. La pastorale della salute tra visione e concretezza” promosso a Roma dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei insieme con la stessa Aris, l’Amci, l’Istituto auxologico italiano, l’Aipas. In questo scenario, spiega Bebber, e sulla scorta della “Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade” auspicata da Papa Francesco, occorre “costruire una vera e propria rete di solidarietà cattolica che funzioni come un cammino sempre aperto”. Su questo cammino “si trovino a passare ogni istante dei Buoni Samaritani, pronti a caricarsi sulle spalle l’uomo sofferente disteso sul ciglio della strada, per portarlo laddove possa trovare assistenza e cure amorose”. Le strutture sanitarie religiose, avverte il presidente Aris, “non intendono certo arroccarsi in un servizio al loro interno, ma guardano proprio al territorio per portare, in un rinnovato rapporto con il malato, quella ‘hospitalitas’ e quella ‘compassione’ che caratterizzano il loro servizio e la loro identità cristiana nel mondo della sanità”. I tempi stanno cambiando velocemente “e noi dobbiamo adeguarci ad un nuovo modo di fare sanità” ma “per essere più incisivi – conclude Bebber – dobbiamo promuovere un nuovo concetto di cultura cattolica sanitaria” in grado di “affiancare e sostenere l’opera evangelizzatrice della Chiesa attraverso il servizio offerto a quell’uomo sofferente che, come comunità, dobbiamo andare a cercare laddove egli vive”.