Convegno

80° leggi razziali: Segre (senatrice a vita), “da Auschwitz non si guarisce”. “Gli indifferenti sono più pericolosi dei violenti”

“Io c’ero. Avevo otto anni quando sono stata espulsa dalla scuola elementare di via Ruffini, qui a Milano. Espulsa per la sola colpa di essere nata. Da allora è cominciata per la mia famiglia una stagione di paura e solitudine, preludio all’irreparabile”. Nelle parole della senatrice a vita Liliana Segre l’effetto delle leggi razziali sulla vita di una bambina, una delle migliaia di storie di studenti ebrei cacciati, insieme ai loro docenti e insegnanti, dalla scuola e dagli uffici pubblici nel 1938. Lo ha raccontato questa mattina nel corso di un convegno promosso dalla Prefettura di Milano nell’aula magna dell’Università Cattolica. “Ho provato a essere una richiedente asilo sulle montagne dietro a Varese insieme a mio padre – ha proseguito Segre -, ma la Svizzera non ci concesse asilo e fummo arrestati dalle guardie di Finanza in camicia nera. Ho provato a tredici anni l’esperienza del carcere per la colpa di esser nata. Insieme ad altre centinaia di persone, bambini e vecchi, siamo stati deportati verso Auschwitz. L’irreparabile era compiuto”. Il racconto della senatrice è proseguito di fronte a un’aula magna ammutolita. “Quando hai visto l’irreparabile – ha proseguito – e torni a raccontarlo, anche dopo tanti anni, rivedi i colori, gli sguardi, gli odori della carne bruciata, la cattiveria dei nostri interlocutori. Sono cose che non ti abbandonano più perché da Auschwitz non si guarisce”. Una violenza, quella delle leggi razziali e dei campi di sterminio, che per Liliana Segre è legata al tema dell’indifferenza perché, ha ricordato, “gli indifferenti sono più pericolosi dei violenti”. “L’indifferenza – ha detto – è un male oscuro. C’è stata allora e regna sovrana ancora oggi. È una marea che avanza ma io non scappo più”. Prima di concludere il suo intervento la senatrice ha voluto ricordare il colloquio con il presidente Sergio Mattarella nel giorno della nomina. “Quando il presidente mi ha chiesto cosa avessi pensato in quel momento – ha concluso la senatrice – gli ho risposto: io che sono così vecchia sono la stessa bambina che si era trovata chiusa la porta dalla scuola e che ora da vecchia si vede aperta la porta del Senato. Io sono la stessa e questo è lo stesso Stato”.