Politica

Comece: card. Marx, “la crisi migratoria è un discorso che facilmente catalizza l’attenzione dell’elettorato”

(Bruxelles) “La crisi migratoria è un discorso che facilmente catalizza l’attenzione dell’elettorato. È individuare un capro espiatorio e semplificare problemi estremamente complessi in un unico punto catalizzatore. Questo è il populismo”. Lo ha detto il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e presidente della Conferenza episcopale tedesca, in un’intervista al Sir, in cui nel ripercorrere i suoi sei anni da presidente della Comece, affronta anche il nodo dei populismi in Europa. “Se sui migranti si vincono le elezioni – ha detto il cardinale -, credo dipenda dal fatto che sulle migrazioni è facile semplificare il discorso politico. Negli ultimi dieci anni, il dibattito è diventato sempre più negativo, impregnato di odio, attraversato anche da informazioni alterate. Abbiamo ascoltato discorsi che fomentano le tensioni anziché placarle”. Se questo è il contesto, qual è il ruolo della Chiesa in Europa? “Essere uno spazio di dialogo. E guardare ai fondamenti della nostra vita e del nostro stare insieme”, ha risposto Marx. “I fondamenti sono quelli indicati nel Vangelo ma sono validi per tutti, non solo per i cristiani perché affermano che ogni essere umano è stato creato ad immagine di Dio e pertanto siamo tutti uguali, abbiamo tutti la stessa dignità e questo vale sia per chi arriva nelle nostre terre come rifugiato sia per chi vive nell’Unione europa”. Riguardo ai nazionalismi, l’arcivescovo dice: “Non si può affermare che una Nazione è superiore ad un’altra. Non è cattolico. La Chiesa quindi ha per missione, soprattutto qui in Europa, quella di mettere insieme le persone e mostrare che è possibile vivere insieme con le differenze. Il nostro incontro a Roma – (Re)thinking Europe – ha rappresentato in qualche modo un modello di quello che la Chiesa può essere e fare in Europa. Non abbiamo risposte a tutte le questioni politiche ma possiamo dire: parliamone insieme, è possibile trovare vie di dialogo ma per riuscirci dobbiamo essere aperti agli altri e non solo interessati al ‘mio Paese, prima’ (‘my country, first’)”.