Indagine

Comunità Papa Giovanni XXIII: Veneto, “la famiglia asse portante delle case di accoglienza”

Quarant’anni di presenza sul territorio. È l’esperienza delle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) in Veneto, al centro di un’indagine empirica dell’Università Iusve, svolta in Veneto nel periodo agosto-ottobre 2018. Si tratta della prima ricerca in Italia sul modello della casa famiglia, che è stata presentata oggi a Padova, nell’ambito del convegno “Oltre la gabbia del disagio”. La ricerca, prima a livello nazionale, indaga quello che è il modello più autentico e rappresentativo dello stile di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi nel 1968. Infatti, non si tratta di strutture residenziali ma di strutture affettive, dove non ci sono operatori e utenti ma papà e mamme che mettono la loro vita al servizio di chi ha bisogno di essere accolto. Non a caso, evidenzia l’indagine, “le pratiche delle case famiglia fanno propria un’intenzionalità che non è esclusivamente focalizzata sulla singola istanza, ma rinviano a una più ampia intenzionalità educativa che vede le persone inserite in un sistema di riferimento valoriale forte e, per ciò stesso, suscettibili di trovare sostegno in termini altrettanto sistemici ed eticamente orientati”.
La spinta all’effettuazione di un’indagine empirica è venuta non solo da una volontà di bilancio per il quarantennale di attività, ma anche per riflettere su questa in connessione all’evoluzione del contesto in cui oggi operano le famiglie venete, “segnato da recenti interventi normativi – si pensi, solo a titolo d’esempio, alla recente riforma delle ulss – ma anche e soprattutto dal completo dipanarsi dell’evoluzione del welfare”. Se le case famiglia si collocano in una più ampia progettualità che definisce l’ambito d’intervento della Comunità Papa Giovanni XXIII, “è nondimeno centrale riflettere sullo sfondo ispiratore che ne guida l’agire: uno sfondo che è primariamente di significato – quello della fede cattolica – giocato sull’interpretazione del servizio che da esso deriva e costitutivamente ancorato alla grammatica familiare come codice di lettura e risposta alla marginalità sociale”. Tale cornice di senso, rileva la ricerca, “innerva l’agire in modo tale da renderlo intrinsecamente eccedente rispetto a ‘ruoli’ codificati, in una tensione continua al termine ultimo di confronto che è dato dalle persone da aiutare, secondo un approccio per scelta olistico e sistemico”. “Asse portante” di questo approccio, orientato da una scelta di fede, è appunto “la famiglia in cui le figure materna e paterna divengono i terminali dell’azione quotidiana, mediante i quali l’Associazione manifesta la propria proposta e la specifica angolatura di valore che la muove”.