Dibattito internazionale

Corruzione: mons. Pennisi (Monreale), “scomunica ai mafiosi è una pena medicinale per un possibile ravvedimento”

“Negli ultimi decenni è maturata nella Chiesa una chiara, esplicita e ferma convinzione dell’incompatibilità dell’appartenenza mafiosa con la professione di fede cristiana”. È quanto ha affermato l’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, intervenendo il 15 giugno scorso in Vaticano al primo “Dibattito internazionale sulla corruzione”. Rilevando che “una particolare forma di corruzione che ha rapporto con l’economia e la politica viene esercitata dalle varie mafie”, nel suo intervento, ricevuto oggi dal Sir, l’arcivescovo che nei mesi scorsi aveva espresso disappunto per la vicenda del figlio di Riina, tornato a Corleone per fare da padrino al battesimo della nipote, afferma che “è compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno”. “La Chiesa – ha aggiunto – in forza della sua stessa missione, rivolge ai mafiosi l’appello alla conversione” che “non può essere ridotta a fatto intimistico ma ha sempre una proiezione pubblica ed esige comunque la riparazione”. Per Pennisi, “l’eventuale legge penale universale” che prevede la scomunica, “dovrebbe contenere una configurazione del delitto canonico di mafia la più ampia possibile, perché il fenomeno assume oggi contorni globali”. “La scomunica comminata è una pena medicinale, è un monito in vista di un possibile ravvedimento”, ha osservato ancora l’arcivescovo.