Verso il Sinodo
Nel rapporto tra giovani e fede la domanda di senso è più importante di quella di verità perché quello che i giovani chiedono di capire è “quali conseguenze potrebbe determinare il credere nella loro vita”. La loro domanda è: “A che serve la religione?”. Lo afferma il sociologo Alessandro Castegnaro, presidente dell’Osservatorio socio-religioso Triveneto(Osret). Intervenuto ad un incontro sul tema, promosso a Padova dalla Facoltà teologica del Triveneto, lo studioso spiega che rispetto al passato categorie come ateismo e indifferenza “hanno perso molto della loro capacità interpretativa”. Per i giovani l’ateismo indica qualcosa di molto meno strutturato di un tempo, mentre l’indifferenza è più apparente che reale. Lo specifico di una generazione che sta vivendo a tutti i livelli una sorta di “moratoria psicosociale” e che “ha altri nodi da sciogliere” è piuttosto, secondo Castegnaro, “una religione in stand by” con un “imprinting cattolico” di base che permette di non rompere del tutto. La religione di origine rimane sullo sfondo del lungo e non lineare processo di definizione di sé e le sue domande vengono così rinviate ad età successive della vita, quando eventi come la nascita del primo figlio o la morte di un genitore “le riproporranno”. Non si rimuove la questione; la si pone in standby, “sotto vuoto, riattivabile in ogni momento”. E se il fenomeno è coerente con la fase di moratoria in cui vivono i giovani, il sociologo invita a non sottovalutare il fatto che prende piede anche perché essi “non ricevono stimoli interessanti con cui interagire e perché le vie tradizionali da utilizzare nel percorso di chiarificazione non appaiono loro credibili”.