
Situazione di grande instabilità sul fronte tra Israele e Hamas. Rotta la tregua sono riprese le operazioni militari a Gaza (e non solo) dell’esercito israeliano. E, viceversa, sono riprese le risposte di Hamas verso Israele. Abbiamo raggiunto telefonicamente Antonella R., fiorentina che da anni vive e lavora a Gerusalemme.
Antonella, come vivono gli israeliani questo nuovo conflitto con la guerra?
Con la tregua era cambiata la situazione. Prima di tutto perché erano finiti i bombardamenti, si sono fermati gli allarmi, le sirene e ovviamente le decine o centinaia di morti quotidiane. Cominciavi a intravedere una fine di questa guerra. Si andava verso la pace. Ora con la fine della tregua siamo ripiombati nella situazione in cui eravamo prima: quindi la pace è sempre più lontana e le volontà di negoziare dei due popoli sono completamente divergenti. Giornali e telegiornali annunciano ogni giorno che vengono mandati rappresentanti delle due fazioni a negoziare gli accordi a Doha, in Qatar etc.; ognuno invia i propri emissari, però non succede niente. Il Nord ora è tranquillo, mentre prima, tutti i giorni c’erano missili sulla Galilea. Ora la situazione si è stabilizzata. Mentre in Cisgiordana è più pericolosa, perché Israele ha intrapreso massicci interventi militari nell’area, come non ce ne erano stati da decenni.
Quando c’è un attacco a Gerusalemme, che fai?
Scappi, vai nel rifugio e poi cerchi di capire, cosa succede e di conseguenza vedi cosa fare, se puoi andare al lavoro, se è tutto normale, com’è la situazione. Ogni giorno provi a organizzare la giornata con il programma di andare a lavorare, a studiare, a fare la spesa come sempre, e all’improvviso ti trovi bloccato, limitato nei movimenti, con emergenze, chiusure, divieti. Il primo ottobre quando siamo stati 45 minuti nel rifugio, non sapevamo quanto sarebbe durato l’allarme, se minuti o ore o giorni. Guardi l’avviso di allarme sul cellulare per sapere quanto dura! La quotidianità vuol dire questo: ogni giorno organizzare la giornata se andare a lavorare, a studiare, a fare la spesa; però prima devi informati per decidere se andare in un posto o non andare, se allontanarti o non allontanarti.
Parliamo degli ostaggi. Quelli che sono stati liberati, hanno parlato della loro esperienza?
Sono rimasti comunque ancora tanti: 59! Sì, hanno parlato, Lo Stato d’Israele era prontissimo a riceverli, aveva già predisposto tutte le strutture per poterli accogliere, per poterli seguire e riabilitare. Certamente è stato un incubo, una tortura fisica e psicologica, e abbiamo visto in televisione come erano ridotti. Alcuni più visibilmente, altri meno. Hanno rilasciato tante interviste. Hanno raccontato come sono stati trattati, ma anche con chi erano e chi è rimasto.
Come vedi da cristiana i due popoli?
Da cristiana, vedi le “due terre”, i due popoli, Israele e Palestina soffrire. Tutti stanno male. Da parte ebraica, c’è il governo che prende le decisioni e ricomincia i bombardamenti e c’è una parte del governo che tratta per il rilascio degli ostaggi. In questo momento però sembra difficile che ciò possa avvenire perché la priorità del Governo, come dichiarato dall’inizio è annientare Hamas. La popolazione ebraica si trova davanti a due “necessità”: ottenere la liberazione degli ostaggi e crearsi le “garanzie” sul territorio per sopravvivere. La questione è l’ordine delle priorità. Lo Stato di Israele da quando è nato si è dato come primo dovere quello di difendersi per poter sopravvivere. Dall’altra parte c’è la popolazione palestinese. La devastazione di Gaza per colpire Hamas ha proporzioni gigantesche, si parla di circa 48.000 morti e di distruzione totale. Per non parlare dei sopravvissuti a cui manca tutto. Sono in condizioni impossibili. Ho sentito una donna gazawi (= di Gaza) intervistata che ha detto: “sarebbe meglio se ci lanciassero una bomba atomica, almeno smetteremo di soffrire”. Anche la popolazione palestinese e araba in generale che vive in Israele è coinvolta più o meno direttamente in quello che sta subendo Gaza. I cattolici nel loro piccolo hanno una parrocchia lì. Naturalmente tra i palestinesi ci sono quelli che prendono le distanze da Hamas e quelli che non lo fanno. E la strage continua. Se la lotta è tra Hamas e l’esercito mandato dal Governo a combattere, ogni abitante della Terra Santa si trova in una guerra che non fa intravedere un futuro per nessuno. Immenso dolore e nessuna prospettiva. La pace deve essere costruita. Gli attori principali sono quelli che prendono le decisioni in alto, chi ha il potere. E chi, ognuno al suo livello, chiede, prega, protesta, scrive, parla, fa pressione, dimostra, si appella – come si propone di fare anche la minoranza cristiana -, come fa la chiesa latina a Gerusalemme, e come fa il Papa da Roma.
(*) Toscana Oggi