
“La situazione resta critica. La gente è stanca e depressa perché le notizie che circolano parlano di una possibile ripresa della guerra e della cacciata della popolazione dalla sua terra. Di tutti quelli che sentiamo nessuno vuole andarsene, sono tutti intenzionati a restare perché, dicono, qui siamo nati e qui vogliamo continuare a vivere. La fine della guerra appare lontana”.

(Foto AFP/SIR)
Così padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, descrive al Sir la situazione nella Striscia, a 500 giorni dallo scoppio della guerra, dove a tenere banco sono sempre di più le dichiarazioni di Trump e l’emergenza umanitaria, nella speranza che l’arrivo, a Tel Aviv, del segretario di Stato americano Marco Rubio, tappa inaugurale del suo primo viaggio in Medioriente, possa portare buone notizie in merito all’attuazione dell’accordo con Hamas. Quest’ultimo, nelle dichiarazioni dei suoi rappresentanti, ha ribadito di attendere che Israele attui il protocollo umanitario, subordinando il rilascio di altri ostaggi israeliani al rispetto dell’accordo. Da Hamas giunge anche l’annuncio che Israele non avrebbe consentito l’ingresso, dal valico di Rafah, nella Striscia di case mobili o attrezzature pesanti necessarie per dare sollievo a circa 1,5 milioni di sfollati che non hanno più case perché distrutte e che si ritrovano a vivere al freddo sotto le tende.

Gaza, parrocchia Sacra Famiglia (Foto Ilquddas Ara)
La parrocchia e il centro di aiuto. Nella parrocchia latina, dove vivono poco meno di 500 rifugiati, la vita scorre tra preghiera e servizio alla popolazione:
“ieri – rivela il parroco – abbiamo distribuito aiuti alimentari, soprattutto frutta e verdura, a più di 5000 famiglie. Erano più del doppio tre settimane fa. Riusciamo, grazie alla generosità di tanti benefattori e all’azione del Patriarcato latino di Gerusalemme e dell’Ordine di Malta, ad aiutare tante famiglie, tutte musulmane, che abitano nei pressi della parrocchia e anche di zone diverse di Gaza”.
“Abbiamo organizzato un punto di distribuzione in un terreno del Patriarcato dove arrivano tante famiglie avvisate tramite messaggi e Sms. Si tratta di nuclei accertati di persone vulnerabili e bisognose che si sono registrati e che ricevono aiuto quando è possibile”. La tregua ha dato la possibilità di muoversi a tanti gazawi che a centinaia di migliaia sono risaliti verso nord, da dove erano stati sfollati. E diversi sono i rifugiati in parrocchia che sono usciti dalla parrocchia per andare a vedere le proprie case o ciò che ne resta: “Quasi tutti lamentano danni gravi se non la distruzione totale della struttura – spiega padre Romanelli -. Approfittando dello stop delle ostilità alcuni dei nostri cristiani stanno cercando una nuova sistemazione in casa di amici o parenti. Vivere in due o tre famiglie in un’aula scolastica, come adesso, alla lunga è dura. C’è anche chi sta provando a rimettere in piedi una parte della sua vecchia abitazione per tornarci ad abitare”.
La mozzarella, la pizza e il pollo. In mezzo a tanta distruzione c’è anche qualche motivo di gioia: “Domenica scorsa – rivela il parroco – abbiamo di nuovo celebrato la messa nella cappella del centro pastorale San Tommaso d’Aquino. Era dall’inizio della guerra che non accadeva perché il Centro era situato in una zona di bombardamenti. Adesso abbiamo sistemato e preparato per la messa che celebreremo una volta alla settimana”. Altre belle notizie:
“In questi giorni abbiamo mangiato, dopo lunghi mesi, una mozzarella, non certo di bufala – dice sorridendo padre Romanelli – e poi abbiamo preparato anche delle pizze. È stato un modo per sentirci vivi e fare festa, anche se non c’è nulla da festeggiare intorno a noi”

(Foto Latin Parish, Gaza)
“Ma noi – ribadisce – vogliamo continuare a sperare. Alimentiamo la speranza con la preghiera, con i Sacramenti, l’adorazione. Ieri amministrato l’unzione degli Infermi a 50 malati per celebrare la Giornata del Malato. E poi abbiamo saputo che alcune aziende hanno cominciato a riassumere impiegati, abbiamo notato che i prezzi di alcuni prodotti si stanno abbassando e che è più facile reperire del cibo. Per esempio, nelle ultime tre settimane abbiamo mangiato il pollo quattro volte. Mai accaduto dall’inizio della guerra”.
Il Papa dal Gemelli. Ma le belle notizie finiscono qui. Intorno resta solo distruzione e incertezza. “Qui a Gaza la gente è stanca della guerra, di vivere in condizioni disumane. Tantissimi dormono nelle tende, al freddo. Manca il gasolio, il riscaldamento, le cure mediche”. Ciò che non manca mai è la vicinanza di Papa Francesco che nonostante il ricovero al Gemelli, continua a chiamare i fedeli della parrocchia: “il Santo Padre ci ha videochiamato nei primi due giorni del suo ricovero. Ci ha salutato, benedetto e si è informato delle nostre condizioni. Ieri, invece, non ha chiamato ma ha inviato un messaggio al mio cellulare. Ci ringraziava per la preghiera e ci ha impartito la sua benedizione”.