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Pakistan. Il nunzio Penemote: “Per la minoranza cristiana è un momento di grazia”

Pellegrinaggi diocesani, ritiri di preghiera, incontri e festival giovanili. Così i cristiani pakistani, una minoranza vitale e vivace su 224 milioni di abitanti, hanno intenzione di celebrare il Giubileo. Intervista al nunzio in Pakistan, l'arcivescovo Germano Penemote, che auspica di "avviare il dialogo per un riconoscimento giuridico della Chiesa in virtù delle sue apprezzabili attività, in favore della comunità nazionale”

Il nunzio Germano Penemote in visita al Vicariato Apostolico di Quetta, dal 27 giugno al 1° luglio 2024. (foto: G.Penemote)

Conferenze, giornate di meditazioni spirituali, celebrazioni penitenziali e pellegrinaggi diocesani. E un festival giubilare di giovani a livello nazionale. Alcuni, i più fortunati, verranno a Roma. Così sarà celebrato il Giubileo dai cristiani pakistani, una minoranza vitale e vivace su 224 milioni di abitanti del secondo Paese musulmano più popoloso al mondo (dopo l’Indonesia). I cristiani rappresentano tra il 1,6% e il 2% della popolazione. A parlare al Sir è l’arcivescovo Germano Penemote, nunzio apostolico in Pakistan dal 2023, angolano di lunga esperienza nelle nunziature di molti Paesi del mondo. Per i cristiani pakistani il Giubileo “è una grazia” per “riflettere e meditare più profondamente sull’amore misericordioso ed infinito di Dio”. L’arcivescovo si sofferma nell’intervista anche sulla necessità di un accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Islamica del Pakistan, perché sia riconosciuta la presenza e lo status operandi della Chiesa: “Non si può continuare a considerare le comunità cristiane alla pari di Ong, oppure come ‘una minoranza’ da discriminare e da tollerare come un corpo alieno in mezzo alla maggioranza”. E’ oggi “il tempo per avviare il dialogo per un riconoscimento giuridico della Chiesa in virtù delle sue apprezzabili attività, in favore della comunità nazionale”. Per tutta la popolazione pakistana che vive sotto la soglia della povertà sogna un “sistema educativo che possa favorire i bambini ed i giovani delle famiglie più bisognose (che sono la maggioranza)”e “una economia più sostenibile ed in grado di beneficiare tutti”.

Cosa significa celebrare il Giubileo in una terra come il Pakistan, dove il cristianesimo è minoranza? Con quale spirito la comunità cristiana locale attende questo momento e come lo vivrete?
Per noi, il Giubileo significa una grazia che, secondo lo storico volere di Dio, ci è stata data perché, in comunione e spirito di sinodalità, possiamo riflettere e meditare più profondamente sull’amore misericordioso ed infinito di Dio. Per quanto riguarda i pellegrinaggi a Roma, all’inizio di luglio 2024 la Santa Sede ha dato un Modus procedendi contenente istruzioni puntuali sulle procedure di richiesta dei visti per i pellegrini che vorranno recarsi ai luoghi santi in Italia ed in Vaticano. Questa Rappresentanza Pontificia si è premurata di far giungere le istruzioni in parola all’Episcopato del Pakistan. La Pakistan catholic bishops’ conference (Pcbc) ha indicato il Rev. Sac. Kamran Daniel, quale delegato per ogni iniziativa da intraprendere in merito al Giubileo. Quindi, con fervore ed entusiasmo, la comunità cristiana in Pakistan si appresta a muoversi, pur con le dovute cautele, perché, “stando in Pakistan”, già ci sono varie richieste di persone, anche non cristiane, che, fingendosi pellegrini, cercano solo di ottenere un visto per andare all’estero e lasciare il Paese. In definitiva e per evitare delle sorprese,

saranno i vescovi, nelle rispettive sedi, che dovranno presentare i gruppi di pellegrini che si recheranno a Roma.

Prevedete iniziative particolari durante l’anno, pellegrinaggi, eventi, o seguirete solo in tv?
Ho l’impressione che qui la gente, più che prendere iniziativa e celebrare in loco il Giubileo, preferisce andare altrove. Ciononostante, la Pcbc si sta adoperando nel senso di offrire un calendario nazionale con programmi ben definiti. Inoltre, si pensa di promuovere conferenze, giornate di meditazioni spirituali, celebrazioni penitenziali e pellegrinaggi diocesani. C’è pure l’intenzione di organizzare un programma alquanto ambizioso, cioè celebrare un festival giubilare di giovani a livello nazionale. Insomma, tutto dipenderà dal tempo, dalla buona volontà delle comunità coinvolte e da diversi mezzi a disposizione.

Com’è oggi la situazione dei cristiani pakistani? Negli ultimi mesi sembra più tranquilla, non ci sono stati atti violenti o persecuzioni a causa della legge sulla blasfemia. Quali sono le urgenze e priorità?
Questo è vero. Negli ultimi mesi la situazione dei cristiani è più tranquilla, e tranne il caso di un’aggressione che ha portato alla morte un cristiano a Sargodha, il 27 maggio 2024, non ci sono stati più atti violenti o persecuzioni a causa della legge sulla blasfemia nei riguardi dei discepoli di Gesù Cristo. Ringraziamo Dio, che è stato e continua ad essere con noi. Tuttavia, risulta urgente e necessario avere uno strumento giuridico, un accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Islamica del Pakistan, affinché la presenza e lo status operandi della Chiesa, la quale fa tanto bene nel campo dell’educazione e della sanità, siano riconosciuti per il bene comune di tutti e per la libertà piena della Chiesa. Non si può continuare a considerare le comunità cristiane alla pari di Ong, oppure come “una minoranza” da discriminare e da tollerare come un corpo alieno in mezzo alla maggioranza.

Qual è quindi il suo auspicio?
Mi piacerebbe vedere l’intero ed amato popolo pakistano come una sola famiglia, composta da fratelli e sorelle musulmani, cristiani, indù ed altri, capaci di convivere nella fratellanza e nel rispetto reciproco dei loro inalienabili diritti, uomini e donne capaci di condividere in modo equo le opportunità di lavoro, perché, in questo mondo “siamo tutti fratelli” (Mt 23,8), come ha sottolineato Papa Francesco offrendo l’Enciclica “Fratelli tutti” all’umanità. Nessuna nazione può vantarsi di rispettare i diritti di solo una parte dei cittadini e negare gli stessi diritti ad altri. In Pakistan è molto comune sentire dire – da molti politici e da talune autorevoli personalità musulmane – che hanno frequentato scuole cattoliche, e lodano sia la cultura intellettuale ivi acquistata, che i valori umani ed il rispetto alle persone valgono indipendentemente della loro provenienza, confessione religiosa o appartenenza etnica. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il servizio della carità, generosamente intrapreso dai missionari e missionarie in diverse istituzioni sanitarie nel Paese. Pertanto, considerando tutto ciò, mi sembra sia ora il tempo per avviare il dialogo per un riconoscimento giuridico della Chiesa in virtù delle sue apprezzabili attività, in favore della comunità nazionale. A tutto ciò, si aggiunge la necessità di una formazione dottrinale ed ecclesiale più approfondita, non soltanto per il clero ma anche per le famiglie e per i molti agenti della pastorale nelle parrocchie.

Anche la popolazione pakistana ha tante necessità. Di cosa c’è più bisogno ora?
Sembra un po’ esagerato dire che qui “è quasi impossibile” passare un giorno senza trattare dei temi inerenti alla sostenibilità economica di famiglie e istituzioni. La maggior parte della popolazione è povera, vive in una condizione di indigenza economica e, perciò, sono infinite le richieste di aiuto. Nel novembre scorso sono stato in visita di cinque giorni nella diocesi di Hyderabad, nella provincia del Sindh, ai confine con l’India. Ho visto le comunità cristiane che vivono al di sotto della soglia di povertà, e che pur vanno avanti aiutate dalla provvidenza divina. Sono famiglie con tanti figli, ma senza scuole, che vivono in capanne ai margini delle strade e dei fiumi, in balia di spietati proprietari terrieri e delle inondazioni che periodicamente devastano quella regione. Detto questo, mi sembra facile capire quali sono le necessità della gente in Pakistan: offrire un sistema educativo che possa favorire i bambini ed i giovani delle famiglie più bisognose (che sono la maggioranza), nonché “sognare” una economia più sostenibile ed in grado di beneficiare tutti. A volte,

ho pensato pure ad una eventuale apertura di una Università Cattolica in Pakistan,

tenendo conto delle innumerevoli richieste di aiuto di giovani che non hanno la possibilità di proseguire gli studi. Ad ogni modo, una cosa è pensare ciò che è necessario e indispensabile, un’altra è vedere il sogno realizzato, ed è lì che si deve tendere e dove potrà scaturire la gioia piena dei figli di Dio.

 

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