“Gioia e sollievo, per Cecilia Sala, per la sua famiglia, il compagno e i colleghi. Abbiamo tenuto accesi i riflettori sul suo caso per tre settimane, abbassando le luci solo quando è stato chiesto dalla famiglia. L’attenzione mediatica ha indubbiamente contribuito a una sua liberazione rapida”. Sono le primissime parole che esprime Farian Sabahi, scrittrice e ricercatrice italo-iraniana dell’Università dell’Insubria, alla quale abbiamo chiesto di spiegare quali “meccanismi” a suo parere hanno reso possibile la liberazione della giornalista italiana, di parlare delle condizioni delle donne nel Paese e della possibilità di un futuro di diritti umani rispettati per tutti.
Sabahi, cosa ha spinto secondo lei le autorità del paese a liberare la giornalista?
La congiuntura internazionale. L’Iran è sotto pressione, a causa delle guerre in Medio Oriente che hanno indebolito il cosiddetto Asse della Resistenza. Inoltre, il 20 gennaio Donald Trump tornerà alla Casa Bianca. Il prossimo presidente repubblicano è percepito come un giocatore di azzardo, non razionale, e la leadership iraniana non esclude che decida di dare manforte a Israele in un bombardamento ai siti nucleari iraniani. Ma credo abbia anche contribuito l’amministrazione del riformista Pezeshkian, che cerca di tornare al tavolo dei negoziati con l’Occidente. Infine, la fine del regime di Assad in Siria e la presa di potere a Damasco da parte del leader jihadista al-Jolani (sunnita di matrice salafita) rischiano di mettere in pericolo le minoranze sciite della Siria e, in questo, l’Italia può mediare con il nuovo governo siriano e ottenere qualche rassicurazione.
Questa mattina, Cecilia Sala nel suo “primo” post su X ha scritto: “Ho la fotografia più bella della mia vita, il cuore pieno di gratitudine, in testa quelli che alzando lo sguardo non possono ancora vedere il cielo. Non ho mai pensato, in questi 21 giorni, che sarei stata a casa oggi. Grazie”. Professoressa, ci ricordi le condizioni in cui vivono le donne in prigione in Iran e soprattutto le motivazioni per cui si rischia l’arresto?
I motivi per cui le donne sono in carcere sono molteplici. Il 49 percento delle condanne a morte del 2023 erano dovute a reati di droga. Ci sono le attiviste politiche. E ci sono donne che hanno ucciso il marito. Ricordo il caso di una detenuta che aveva ucciso il marito dopo che lo aveva sorpreso mentre, con gli amici, violentava la figlia di lei. In Iran le prigioni sono sovraffollate, i diritti delle detenute non sono garantiti. I processi sono sommari e molto spesso le confessioni estorte. Oggi come già accadeva, peraltro, al tempo dello scià.
Giornalismo e donne in Iran. C’è speranza in futuro di libertà nel paese… o il futuro appare purtroppo ancora oscuro?
L’Iran è molto cambiato in questi ultimi anni. C’è maggiore consapevolezza e desiderio di una società libera. Resta purtroppo uno zoccolo duro di consenso al regime, altrimenti non si spiegherebbe perché tante donne si arruolano ancora nella polizia morale. Detto questo, il nazionalismo iraniano non va mai sottovalutato, soprattutto di fronte a una minaccia esterna.
Quanto la vicenda di Sala può aver favorito la conoscenza delle condizioni delle donne e delle libertà in Iran e se questo può influire in qualche modo per il rispetto dei diritti umani?
La vicenda di Cecilia Sala è solo un piccolo tassello in un mosaico complesso. Sono anni che reporter e accademici raccontano le condizioni delle donne iraniane. Lo ha fatto, con dovizia accademica, la ricercatrice irano-francese Fariba Adelkhah, a lungo in carcere in Iran proprio per le sue ricerche accademiche, sul campo, in Iran.