Dopo essere entrati a Damasco, i ribelli dell’Organizzazione per la liberazione del Levante, guidati da Al Jolani, hanno preso il controllo della Siria. L’ex dittatore, Bashar al-Assad, e la sua famiglia sono scappati a Mosca, dove il presidente Vladimir Putin ha offerto loro asilo politico per “ragioni umanitarie”. Intanto non si può dire che gli altri Paesi siano stati a guardare: alla notizia della caduta del regime, l’esercito israeliano ha condotto attacchi contro 320 “obiettivi strategici” in Siria per evitare che gli armamenti potessero cadere nelle mani di Hezbollah. Sullo sfondo, i Paesi del G7 sperano in una transizione pacifica che contribuisca alla stabilità regionale. Al Sir, Alessandro Politi, direttore del Nato defense college foundation, spiega come “la prima causa della caduta di Assad è l’incapacità politica del regime di aver gestito la rivolta del 2011 e non aver chiuso con un compromesso di pace la guerra civile”. E sul nuovo regime aggiunge: “Potrebbe inghiottire anche il Libano perché la forza della convinzione ideologica, unita a capacità di combattimento, potrebbe sopraffare molte fazioni libanesi”.
Come mai è arrivato adesso il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad?
Assad ha vinto la guerra grazie agli interventi dell’Iran e della Russia su un Paese completamente devastato. Ma Assad ha governato su un cumulo di macerie che non controllava completamente, anche perché c’erano delle zone protette sia dagli Stati Uniti sia dalla Turchia in funzione di cuscinetto. In più c’era un governo parallelo nelle mani dell’Organizzazione per la liberazione del Levante. Tutto ciò crea le premesse di possibili rovesciamenti. Se non c’è costanza e successo politico, la guerra civile non finisce. A quanto pare, non c’è stata nessuna possibilità o volontà politica di chiudere il conflitto con un compromesso che permettesse di riassorbire o isolare le opposizioni. La prima causa della caduta di Assad è dunque l’incapacità politica del regime di aver gestito la rivolta del 2011 e non aver chiuso con un compromesso di pace la guerra civile. Questa è la prima causa. Il resto è una attribuzione di meriti molto dubbia. Le prime cause di ciò che accade nel Paese stanno nello stesso Paese. Il regime di Assad cade per questi motivi: senza la ricostruzione, non c’è un giro di denaro sufficiente per calmare le acque. Anche se ci fosse stato il compromesso, non è detto che dopo alcuni non finisse male: basti vedere cosa è accaduto nel vicino Libano, dove la pace si è rivelata vuota. La tragedia della Siria parte dagli anni ’40, quando si è tentato di sfuggire alla frammentazione subnazionale attraverso la dittatura, poi crollata lo stesso. L’autoritarismo può essere una salvaguardia dalla frammentazione, ma dopo alcuni decenni mostra i suoi limiti, come in ex-Jugoslavia o Libia. Persino quando perdura, il rischio è che vi sia un’anemizzazione del paese.
Assad è dunque finito?
Bashar al-Assad non ha trovato una via d’uscita morbida dalla crisi del 2011. Ora è in una residenza vigilata e il danno che può fare per ora è poco.
Putin si rafforza con la mossa di asilo o si isola ancora di più?
Putin per ora deve chiudere la disastrosa guerra ucraina che, se è una vittoria, è una vittoria di Pirro. Fino a ieri, per la Russia, la Siria era un caso di brillante intervento a favore di un regime in pericolo. Nella memoria di Putin credo abbia giocato l’impegno sovietico in Afghanistan che era nato con le stesse premesse. Stavolta però l’intervento russo si era sviluppato tramite una intensa attività politica e diplomatica sia sul terreno sia a livello regionale, giunta al successo, per poi crollare per debolezze interne al regime. La Russia adesso tiene un pegno di possibile ritorno, comunque molto fragile.
La caduta ha comunque provocato in prima battuta della sorpresa e insieme del sollievo fra molti Paesi anche occidentali.
Il regime era innanzitutto odioso a troppi siriani, ma occorre vedere chi è la “forza liberatrice” e quali sono i rischi per il popolo siriano e i loro vicini.
C’è la concreta possibilità di una Siria libanizzata; oppure che s’instauri un regime simile allo Stato Islamico in Iraq e che possa gradualmente inghiottire il Libano. Il nuovo regime potrebbe inghiottire anche il Libano perché la forza della convinzione ideologica, unita a capacità di combattimento, potrebbe sopraffare molte fazioni libanesi. Siamo ancora nel campo delle possibilità, ma sarebbe stolto sommergerle in una superficiale euforia. Inoltre, la Siria confina con le alture del Golan per cui la distruzione da parte di Israele degli armamenti non necessariamente basta. Come dimostra la storia dei conflitti israelo-palestinesi, distruggere le armi senza disarmare politicamente la guerra è una fatica di Sisifo, ben riflessa dalla metafora israeliana del “falciare l’erba”.
Ma chi sono i rivoltosi che hanno preso il potere in Siria?
Sono dei jihadisti, della corrente che sceglie di combattere non il nemico a livello universale, ma locale. Hanno affrontato diverse trasformazioni e lotte intestine con altre galassie jihadiste, eliminando molti concorrenti. Se il nome della loro organizzazione ha un senso, esso include la liberazione della Palestina, perché il Levante arabo parte da Antiochia ed arriva ai bordi del Sinai. Come diverse formazioni dello stesso tipo sono state scientemente usate per rovesciare l’ex-governo di Damasco, salvo poi diventare un boomerang. Come dice il loro leader, Abu-Mohammad al-Jawlani (al Golani sulla stampa israeliana),
“giudicateci dai fatti”.