Cop 29, con fiducia

A Baku ci sarà persino per la prima volta (ma senza diritto di voto) una delegazione dei talebani dell'Afghanistan, che è tra i 10 Paesi maggiormente vittime di cambiamenti climatici. Ma, in realtà, tutti ormai lo siamo poiché gli eventi estremi si verificano ovunque e non certo poco anche nella nostra Europa o negli Stati Uniti.

(Foto Presidenza del Consiglio dei ministri)

Appena celebrata la Giornata del Ringraziamento, ecco che nel giorno di S. Martino, l’11 novembre (fino al 22), si apre a Baku, in Azerbaijan, sulle rive del Mar Caspio, la Cop29, riproponendoci in modo più generale quanto i nostri vescovi ci indicavano in riferimento all’agricoltura: il legame imprescindibile tra la speranza per il domani e la sostenibilità delle nostre scelte. Non sembri argomento secondario, poiché ne va appunto del futuro della nostra “casa comune”, per la cui tutela, come invocava papa Francesco domenica scorsa, è urgente che la comunità internazionale trovi soluzioni comuni ed efficaci. Cop – Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, cui aderiscono 197 Paesi, più l’UE – che si convoca annualmente per fare il punto della situazione e rilanciare proposte e impegni per la riduzione del riscaldamento globale del pianeta, nell’intento di mantenerlo entro la fine del secolo nella soglia dei +1,5 gradi centigradi. Purtroppo siamo in grave ritardo poiché essa è già stata superata, avendo raggiunto i +1,55 gradi. Ma è necessario non demordere.

Anzi, nei piani dell’Onu si puntava proprio a questa edizione per rilanciare più decisamente il programma a livello mondiale. Stranamente – come già da altre due edizioni consecutive, in Egitto e negli Emirati Arabi Uniti – ancora nella capitale di uno stato che deve gran parte della sua economia proprio allo sfruttamento delle energie fossili, il petrolio prima di tutto, ma anche il gas, a cui noi stessi abbiamo fatto ricorso dopo la rinuncia a quello russo… Baku, che – fatto curioso – si trova a 20 metri sotto il livello del mare, è addirittura il sito in cui nel 1848 venne scavato uno dei primi pozzi petroliferi e alla fine del XIX secolo produceva la metà del petrolio mondiale! Ed ora tutto il suo splendore e perfino i suoi grandiosi grattacieli a immagine di fiamme gigantesche provengono dall’oro nero. Per questo la scelta suscita perplessità, ma, come già a Dubai, la provocazione può servire a impegnare proprio questi stati ad una riscossa per ridurre il ricorso ad una fonte che, per quanto primaria, è destinata ad esaurirsi e a rilanciare l’impegno-obbligo delle fonti alternative rinnovabili. Purtroppo, sono segnalate assenze eccellenti (oltre a Biden, da Macron a Ursula von der Leyen, ma anche altri capi di governo di grandi Paesi, tra cui Cina, Giappone, Australia, Messico, che avranno delegazioni di livello minore), ma ciò non deve scoraggiare: il dibattito dovrà essere franco e decisivo, soprattutto in considerazione del punto in cui siamo arrivati e del precipizio su cui siamo in bilico.

A Baku ci sarà persino per la prima volta (ma senza diritto di voto) una delegazione dei talebani dell’Afghanistan, che è tra i 10 Paesi maggiormente vittime di cambiamenti climatici. Ma, in realtà, tutti ormai lo siamo poiché gli eventi estremi si verificano ovunque e non certo poco anche nella nostra Europa o negli Stati Uniti.

Sono proprio le economie più progredite o comunque le nazioni più grandi – si sa – le maggiori responsabili dell’inquinamento mondiale; val la pena ricordare che la prima in termini assoluti nel 2023 è stata la Cina – lanciata al massimo – con il 28% delle emissioni mondiali, poi gli Usa (15%), l’India (7%), l’Ue (6%), la Russia (5%)… Mentre, d’altra parte, i Paesi in via di sviluppo – che spesso sono tra i più danneggiati dallo stravolgimento climatico – rivendicano il diritto di non restare indietro nell’usufruire del “progresso” anche appunto, come abbiamo fatto noi, attraverso fonti fossili. Per questo, da anni ormai, si punta a ripagare le perdite e i danni inflitti dal clima ai Paesi poveri e a sovvenzionare la scelta di fonti rinnovabili con un grande impegno finanziario, che tuttavia è per ora assolutamente inadeguato.

Tra gli obiettivi della Cop29 c’è appunto quello di incrementare il coinvolgimento finanziario mondiale in questo senso; inoltre si intende spingere tutti i governi a presentare i nuovi piani nazionali, previsti entro il febbraio 2025, per arrivare al taglio del 45% delle emissioni entro il 2030!

Come si diceva, siamo indietro, molto indietro. E, di questi tempi, si teme la marcia indietro degli Usa, come tira indietro anche l’altra più grande economia, quella cinese… E intanto la concentrazione di Co2 nell’atmosfera sfiora le 424 particelle per milione (crescendo di +4,7 ppm rispetto al 2023), avvicinandosi pericolosamente alle 450, ritenuta dagli scienziati la soglia che ci pone a rischio estinzione. Ma c’è un altro aspetto che deve inquietarci e… spronarci: i Paesi poveri (3 miliardi di abitanti) consumano circa 200 kw di energia all’anno a persona, l’italiano medio 4.000 kw, lo statunitense 12.000. I conti sono presto fatti: se vogliamo salvare il pianeta, senza andare incontro al disastro, dobbiamo ridimensionarci soprattutto noi. Segnale importante l’appello lanciato, in concomitanza con la Cop29, anche dalla nostra diocesi, insieme ad altre istituzioni religiose, per un impegno morale al disinvestimento da aziende produttrici di combustibili fossili.

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