(Betlemme) Qualche giorno fa sono stata a Betlemme. Appena si attraversa il checkpoint che divide Gerusalemme da Betlemme, si è costretti a rallentare con l’auto, entrando molto lentamente, a passo d’uomo. Le profonde scanalature sull’asfalto rallentano drasticamente l’ingresso alla città. Ho la percezione di entrare in un altro mondo, in punta di piedi, mentre mi lascio alle spalle Gerusalemme, una città dove la vita scorre in un’apparente normalità, nonostante la guerra in corso. Il primo impatto entrando a Betlemme è il muro di separazione, che si erge all’interno della stessa città. Questo muro richiama inesorabilmente i messaggi disegnati da artisti di tutto il mondo, i cui murales, oggi sbiaditi dal tempo, raccontano la vita della città, invocano la pace e ricordano anni di occupazione, rivendicando libertà e giustizia. Una storia lunga più di settant’anni. Oggi, anche questo racconto sembra essersi fermato.
Betlemme vuota. Entrare a Betlemme significa immergersi in una realtà di resilienza, la sensazione più triste è quella di vedere negozi e alberghi chiusi, una città deserta, completamente vuota di pellegrini. La Basilica della Natività, cuore del pellegrinaggio cristiano, è completamente vuota;
il silenzio ti fa percepire che qui la guerra ha fermato anche il tempo.
La vita quotidiana è segnata dalla lotta per la sopravvivenza nei pochi negozi aperti, le scorte sono limitate a causa della guerra. Questa è una guerra di un altro tipo, una guerra che avvolge Betlemme come un serpente, proteggendola forse dai bombardamenti e dalle incursioni, ma al contempo limitando la libertà, la dignità e le opportunità di lavoro a molte persone. La resilienza degli abitanti di Betlemme è alimentata da una forte speranza, indipendentemente dalle loro fedi, siano esse cristiane o musulmane. Questa è la gente di Betlemme, la città che ha dato il Natale a Gesù, un luogo che ci ricorda le nostre origini cristiane.
Lotta per la sopravvivenza. Molti betlemiti sono rimasti senza lavoro dal 7 ottobre, dallo scoppio della guerra tra Hamas e Israele, e la lotta quotidiana per la sopravvivenza si fa intensa, mentre le persone cercano di resistere a un’ulteriore ingiustizia in questo conflitto senza senso, proclamato in nome della giustizia stessa. Ma dove si trova questa giustizia? Sembra essere svanita nei meandri della politica e della geopolitica. A Betlemme, le famiglie si stringono tra di loro per affrontare questa terribile situazione. Si chiudono in se stesse, condividendo ciò che hanno, senza pianificare un futuro, ma vivendo giorno dopo giorno, affrontando le difficoltà. A volte ci si chiede perché le persone non cerchino nuove opportunità lavorative, ma la verità è che non ci sono possibilità di cambiamento. La gente è bloccata in questa città, senza la possibilità di uscire, di viaggiare alla ricerca di un lavoro e di un futuro dignitoso per la propria famiglia.
Betlemme oggi è un microcosmo delle sfide e delle speranze che caratterizzano la regione più ampia del Medio Oriente, terra dalla complessità unica. In questo contesto, Betlemme emerge come un simbolo di pace e spiritualità da secoli.
Tuttavia, oggi la città si trova a fronteggiare una realtà drammatica e desolante, abbandonata a se stessa e la sua passata vivacità ora è avvolta in un inquietante silenzio.
Volti tristi. Nei giorni scorsi, ciò che ho visto a Betlemme ha suscitato in me profondo dolore. È straziante osservare le persone rattristate mentre cercano di andare avanti, in attesa della fine del conflitto. Anche quando finalmente arriverà la pace, gli strascichi della distruzione nei Paesi vicini si faranno sentire a lungo.
La ripresa sarà lenta, e ci sarà paura di ricominciare. Dobbiamo affrontare la sfida di superare la paura di tornare in luoghi che sono stati teatro di guerra.
Ma come possono le persone a Betlemme continuare a vivere in questo momento? Quale futuro le attende? Eppure, tutti parlano di pace, una parola spesso usata e abusata. La pace deve partire da noi; non possiamo delegare ad altri questo compito. Deve germogliare dal basso. Solo quando riusciamo a vedere la sofferenza di chi ci sta vicino, possiamo realmente costruire un tessuto di solidarietà. Betlemme oggi rappresenta un luogo di contrasti, dove la desolazione coesiste con la speranza. È un invito a tutti noi a non dimenticare la forza della comunità e della solidarietà. La storia di Betlemme è ancora da scrivere, e spetta a ciascuno di noi contribuire a un finale migliore.