Il mondo è tornato a livelli di sottoalimentazione paragonabili a quelli del 2008-2009 e si allontana così sempre più dal raggiungimento dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 2, “Fame zero”, entro il 2030. È quanto emerge dal nuovo rapporto delle Nazioni Unite “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo 2024”, secondo cui nel 2023 circa 733 milioni di persone – una persona su undici – hanno sofferto la fame: in 2,33 miliardi, nel mondo, hanno dovuto fare i conti con l’insicurezza alimentare. I conflitti, vecchi e nuovi, rimangono la principale causa, ma anche le condizioni meteorologiche estreme acuite dai cambiamenti climatici hanno un impatto disastroso sulla produzione agricola. Inoltre, in molti Paesi l’inflazione sta causando un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, aggravando ulteriormente le condizioni delle popolazioni locali. Ma, come sottolineato da Papa Francesco nel suo Messaggio alla FAO (1° luglio 2023), “l’incapacità ad adempiere alle responsabilità comuni non deve portarci a trasformare le intenzioni iniziali in nuovi programmi riveduti che, invece di beneficare le persone soddisfacendo le loro necessità reali, non ne tengono conto”. Oggi più che mai, affinché nessuno sia lasciato indietro, serve una grande sinergia in grado di coinvolgere i governi, le imprese, il mondo accademico, le istituzioni internazionali, la società civile e gli individui.
Da parte sua, la Chiesa italiana, per far fronte alla mancanza di cibo, attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, grazie ai fondi dell’8xmille, ha finanziato dal 1991 a oggi 416 progetti per un totale di 47 milioni di euro in 80 Paesi di tutti i continenti.
Si tratta di iniziative in risposta ad emergenze, per la prevenzione, l’adattamento o la mitigazione dell’impatto negativo dei cambiamenti climatici, per l’avvio, il sostegno e il potenziamento di pratiche agricole in una prospettiva di sostenibilità. Tutti i progetti nascono dall’ascolto dei bisogni dei territori e puntano a consentire alle persone e alle comunità locali di essere protagoniste del loro sviluppo.
Come in India, nel Tamil Nadu, dove la diocesi di Dindigul, grazie a questi fondi è riuscita a fornire orientamento e formazione, favorendo l’avvio di orti biologici. Ha individuato 500 famiglie in 30 villaggi, alle quali sono stati anche forniti semi e piantine: insalata, fagioli, noce di cocco, coriandolo, curry, zenzero, peperoncino verde, melanzane. Tutto rigorosamente biologico per aiutare il pianeta, ma anche per trovare finalmente un mercato redditizio. “Grazie a questo progetto – dice Shaila – ho acquisito conoscenze sull’importanza degli ortaggi e delle verdure e sui loro valori nutrizionali e curativi. Il consumo quotidiano di quanto sono riuscita a produrre ha aiutato me e la mia famiglia a migliorare il nostro livello di salute e ad avere un’alimentazione sana e adeguata”. Tutto il villaggio è stato coinvolto nella sensibilizzazione e nella cura degli orti, inclusa la raccolta dei rifiuti e la loro preparazione per poi utilizzarli come concime.
Anche in Perù, nella parrocchia di San Andrés de Huaycán, nel distretto di Ate a Lima, le famiglie più povere si sono organizzate in quelle che vengono chiamate “Ollas Comunes”, una sorta di mense condivise, per far fronte alla fame, aggravata da una disoccupazione crescente e dall’aumento dei prezzi degli alimenti di base. L’insicurezza alimentare nel Paese causa malnutrizione cronica in molti bambini di età inferiore ai 5 anni, e problemi di anemia nel 38% dei piccoli tra i 6 e i 35 mesi. Ogni “Olla” fornisce 80 razioni di cibo al giorno per un totale di 3600 persone al giorno. Con il ricavato dalle vendite delle razioni a prezzi calmierati si pagano i servizi idrici, l’elettricità e le forniture di gas. Il progetto ha consentito, grazie anche all’ASPEm, di rafforzare gli interventi del Banco Alimentare locale con operatori socio-pastorali, di migliorare l’organizzazione delle “Ollas Comunes” e il sistema di recupero degli alimenti e riduzione degli sprechi delle aziende alimentari di Ate. Complessivamente l’iniziativa ha coinvolto 20 organizzazioni di “Ollas Comunes”, 80 donne, 400 famiglie e 90 operatori socio-pastorali.
In particolare la fame sta aumentando in modo allarmante nel continente africano, dove coinvolge 1 persona su 5. Oltre ai necessari interventi di emergenza per far fronte alle ricorrenti crisi, carestie e siccità, anche in Africa la Conferenza episcopale italiana sostiene interventi attraverso i quali, grazie alle Chiese e ai partner locali, si cerca di mantenere la massima attenzione e rispetto verso le singole comunità, la diversità culturale e le specificità tradizionali. Perché non ci può essere cambiamento senza ascolto e pieno coinvolgimento di tutti. Così è avvenuto in Angola, nella provincia di Cuando Muango, nella diocesi di Menongue, dove più di 77.000 famiglie hanno problemi dovuti alla siccità nonostante la presenza nella regione di fiumi importanti. La diocesi ha costruito un centro di piscicoltura con varie vasche per allevare la tilapia e produrre 150 kg di pesce al giorno. Sono state create le vasche, acquistate le pompe, allestito uno stabile per la preparazione degli alimenti e effettuate sessioni formative per la popolazione locale per favorire anche la commercializzazione del pesce prodotto.